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A cura di Ferruccio Bovio
A giudicare dalle dichiarazioni programmatiche enunciate dinanzi al Parlamento europeo da Ursula von der Leyen, in occasione della sua recentissima conferma alla presidenza della Commissione europea, si direbbe che la cosiddetta “era Timmersmans” (dal nome del politico olandese considerato come il maggiore sponsor del Green Deal) sia stata tutt’altro che archiviata. Anzi, come del resto non ha mancato di sottolineare il neo presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, sembra proprio di potervi cogliere un elemento di assoluta continuità rispetto a quell’impostazione (spesso orientata in senso anti industriale) che ha caratterizzato molte delle decisioni prese da Bruxelles nell’ultimo quinquennio.
La conferma, ad esempio, dell’obbiettivo di ridurre del 90% le emissioni di CO2 al 2040, senza chiedersi seriamente a chi spetterà poi il compito di pagare la fattura della decarbonizzazione (e quali saranno le conseguenze di questa opzione sull’industria europea e sulla sua competitività) sembra, infatti, un errore che potrebbe, ben presto, rivelarsi irrimediabile.
Si consideri, ad esempio, la leggerezza – diremmo quasi irresponsabile – con la quale il programma del nuovo esecutivo von der Leyen conferma l’uscita dai motori endotermici nel 2035: qualcuno ha realizzato che, in una prospettiva come questa, nel giro di pochissimi anni nessuno sarà più disposto ad acquistare veicoli a benzina o diesel, in vista di una scadenza così ravvicinata? Possibile che sia così difficile capire che saranno centinaia di migliaia i lavoratori del comparto dell’indotto dei motori endotermici a perdere la propria occupazione, senza certamente poter sperare di trovare una nuova collocazione nelle produzioni di motori elettrici che, purtroppo, saranno, invece, un affare essenzialmente cinese? Che senso può avere un addio così drastico alle vendite di auto equipaggiate con motori a combustione interna, considerato che, tra l’altro, quelle alimentate con biocarburanti consentono, oramai, emissioni di CO2 che sono sostanzialmente analoghe a quelle dei veicoli elettrici?
Al momento, tutto lascia intendere che, per quanto riguarda la mobilità elettrica, i Cinesi abbiano ormai accumulato un vantaggio sostanzialmente incolmabile per l’industria europea. Tuttavia, se anche si riuscisse, in extremis, a tenere in vita un minimo di queste produzioni pure in Europa, si andrebbe, comunque, incontro ad un netto ridimensionamento dei livelli occupazionali nel settore della componentistica, poiché – come è noto – i motori elettrici sono molto meno complessi di quelli endotermici, non disponendo, ad esempio, di elementi come il serbatoio, il sistema di scarico, il cambio, la frizione o il turbocompressore.
Di conseguenza, pur non negando certamente l’importanza del processo di transizione energetica, auspichiamo che, nel portarlo avanti, venga tuttavia stimato anche quanti posti di lavoro saranno creati in Europa grazie al Green Deal e quanti, invece, andranno perduti proprio a causa delle politiche che l’Unione europea adotterà in materia di transizione ecologica.
Scritto da: Giornale Radio
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