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A cura di Ferruccio Bovio
Fin dalla sua fondazione, avvenuta con la rivoluzione khomeinista del 1979, la repubblica teocratica degli ayatollah sciiti si è posta tre obbiettivi di natura sacra e, pertanto, assolutamente irrinunciabili. E stiamo parlando della distruzione di Israele, della completa estromissione degli Stati Uniti dal Medio Oriente e della sottrazione dei luoghi santi della Mecca e della Medina dal controllo dell’Arabia Saudita.
In generale, in Europa (e soprattutto in Italia) non siamo granchè abituati a pensare che i nostri interlocutori o avversari politici credano davvero fino in fondo in quello che dicono, ma nel caso di questi chierici iraniani faremmo meglio a comprendere, in modo ben chiaro, che, di fronte a loro, ci troviamo in presenza di gente che non intende assolutamente scherzare. Per questo motivo, riteniamo che, in Medio Oriente, non ci sarà pace fino a che l’Iran non avrà rinunciato a dei propositi così distruttivi.
Chi certamente ha ben chiari in mente i termini della minaccia rappresentata dal fondamentalismo sciita è il premier israeliano Netanyahu che, non a caso, in queste ore, commentando l’uccisione di Ismail Hanyeh – avvenuta proprio mentre il capo politico di Hamas era ospite di riguardo in uno dei palazzi del potere di Teheran – non ha esitato a parlare di “asse del male iraniano” e di “guerra di sopravvivenza” per il suo Paese. L’impressione che abbiamo è quella che il premier israeliano stia prendendo in considerazione l’idea di alzare la posta in palio sul tavolo da gioco, andando a vedere non solo le carte dei vari Hezbollah, Houti o Hamas, ma anche quelle del loro burattinaio iraniano. Il governo di Gerusalemme sembra, quindi, lanciare una sorta di sfida all’OK Korral alla Guida Suprema della rivoluzione sciita, invitandola ad uscire finalmente allo scoperto per un confronto diretto e chiarificatore sulle sue effettive capacità di far corrispondere anche qualche concreto risultato militare alla ormai tradizionale (e sterile) sequenza di invettive e di maledizioni. Se, a questo punto, Teheran non dovesse rispondere, perderebbe indubbiamente la faccia nei confronti delle varie milizie alleate, alle quali, almeno sino ad oggi, ha sempre chiesto combattere in sua vece, in attesa di chissà quale battaglia finale per la distruzione definitiva sia del “piccolo, che del grande satana”. Di conseguenza, non si può neanche ipotizzare il fatto che l’Iran possa non dare ad Israele una qualche risposta. La Guida Suprema, Ali Khamenei, ha, infatti, prontamente minacciato una ”dura rappresaglia” contro Israele, anche se il New York Times riferisce che, in realtà, i dirigenti iraniani sarebbero “in stato di shock totale” per la manifestazione di vulnerabilità interna che l’uccisione di Haniyeh ha così impietosamente messo in risalto. Un conto è ammazzare di botte una ragazzina che non indossa correttamente il chador, un altro è andare a vedersela sul serio (e non solo sulla carta) con le forze armate dello Stato ebraico…I prossimi giorni ci diranno se la scelta di Netanyahu sarà stata la mossa vincente per svelare un presunto bluff iraniano o se, invece, il suo sarà stato soltanto un pericoloso azzardo dalle conseguenze drammaticamente imprevedibili.
Credits Foto: Agenzia Fotogramma
Scritto da: Giornale Radio
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