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A cura di Ferruccio Bovio
L’offerta pubblica di scambio, attraverso la quale l’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, intende rilevare il Gruppo Banco Popolare di Milano – al di là di quelle che possano risultare le maggiori convenienze per i due singoli Istituti e, più in generale, per il panorama bancario nostrano considerato nel suo complesso – ha sicuramente posto in evidenza (e in aperta contrapposizione tra loro) due visioni profondamente distanti nel concepire il funzionamento dei mercati finanziari.
Da un lato del tavolo da poker si collocano, infatti, i giocatori che fanno le loro puntate seguendo le regole (magari anche aride e spietate) dei numeri e dei rapporti di forza oggettivi, pensando – proprio come afferma Orcel – che l’Europa abbia bisogno di banche più forti e più grandi, che le consentano di “competere contro gli altri principali blocchi economici”; sulla sponda opposta siedono, invece, i nostalgici di quella che, durante la Prima Repubblica, veniva chiamata “la foresta pietrificata”, intendendo con questa definizione lo scenario immutabile che si presentava agli occhi degli osservatori internazionali, quando i nostri istituti di credito erano stabilmente in mano allo Stato e ai partiti, a prescindere da quelli che potessero essere i loro risultati di bilancio. E nel caso oggi in questione è forse bene precisare – quale elemento fondamentale – che lo Stato italiano non risulta possedere azioni di nessuna delle due banche in discussione.
A che cosa è dovuta, quindi, la reazione di chiaro disappunto – degna di un fatto di “lesa maestà” – da parte del ministro Giorgetti che ha persino fatto balenare il ricorso alla cosiddetta “golden power”, quasi Unicredit fosse un gruppo straniero calato in Italia per minacciare la sicurezza economica e industriale del Paese? Ufficialmente perché – come dichiarato dallo stesso Giorgetti – l’operazione è stata “comunicata ma non concordata col governo”, anche se poi il vice premier Salvini, più apertamente, si è invece spinto fino ad avanzare l’ipotesi che “qualcuno volesse fermare l’accordo BPM – Monte Paschi di Siena per fare un favore ad altri”. E qui veniamo al “punctum dolens” perché, effettivamente, il passaggio del Banco Popolare di Milano nelle mani di Unicredit andrebbe a complicare non poco quei piani di accorpamento finanziario che, sulla linea Milano – Siena, potrebbero portare alla costituzione di un terzo polo bancario nazionale che, per affinità politiche, sarebbe piuttosto gradito al centrodestra.
Ma qui torneremmo, appunto, ai tempi e ai modi della “foresta pietrificata”. Certamente, qualunque iniziativa economica è destinata a procedere più agevolmente se gode dei favori di un esecutivo in carica, tuttavia ci pare che – a parte una golden power di dubbia efficacia in questa vicenda – le carte in mano di cui dispone la politica in questo frangente, sappiano più di bluff, che di scala reale…Se mai, le vere difficoltà per Andrea Orcel arriveranno dagli azionisti di BPM che, non a caso, hanno già subito cominciato col respingere l’offerta giudicandola troppo bassa e che, magari, si stanno adesso mettendo anche alla ricerca di alleanze strategiche alternative.
Credits Foto: Agenzia Fotogramma
27 Novembre 2024
Scritto da: Giornale Radio
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