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today25 Agosto 2025
Dopo lo storico blitz al Leoncavallo, Piantedosi annuncia che anche lo stabile occupato da Casapound a Roma finirà nella lista degli sgomberi.
Gli occupanti del Centro sociale Leoncavallo di Milano lasciano la storica sede di via Watteau, dopo l’improvviso blitz delle forze dell’ordine della scorsa settimana. Il decreto che ordina l’esecuzione dello sfratto gli offre ancora alcune settimane per traslocare i beni di loro proprietà, mentre il Comune di Milano promette una soluzione alternativa attraverso un bando.
La nuova sede sarà probabilmente consegnata nella primavera inoltrata del 2026, e individuata alla periferia sud di Milano, nel quartiere di Porto di Mare. Ma per il Leoncavallo i tempi non saranno celeri, perché gli annunci del sindaco Beppe Sala potrebbero naufragare nel mare magnum delle pastoie burocratiche.
Poi c’è il problema dei 3 milioni di euro che il Viminale, condannato dalla Corte d’appello per non aver eseguito lo sgombero dopo 133 tentativi, vorrebbe indietro dall’Associazione mamme antifasciste che a sua volta ha avviato una sottoscrizione. La prima risposta politica pubblica slitta al 6 settembre quando il Leoncavallo ha indetto un corteo nazionale a cui hanno aderito gran parte dei partiti e movimenti di sinistra.
Nelle ore in cui veniva colpito il Leoncavallo, il ministro della Cultura Alessandro Giuli aveva parlato della necessità di eliminare “spazi di illegalità e incubatori di violenza”. Nei confronti di Casapound, che gestisce illegalmente lo stabile di via Napoleone III a Roma, Giuli aveva escluso un possibile sgombero nel caso i militanti dell’organizzazione neofascista si allineassero a criteri di legalità.
Il ministro Piantedosi afferma invece che anche CasaPound rientra tra gli sgomberi in programma dal Viminale. “Io, da prefetto di Roma, sono stato quello che l’ha inserito nell’elenco dei centri che sono da sgomberare e prima o poi arriverà anche il suo turno”, promette Piantedosi. Ma il governo a guida Giorgia Meloni riuscirà nell’impresa di scaricare i gruppi estremi che in qualche modo hanno assicurato il sostegno politico ed elettorale?
Il centro sociale Leoncavallo, nato nel 1975 nel quartiere Casoretto e poi trasferitosi nel 1994 nella sede di via Watteau, ha rappresentato per oltre tre decenni un punto di riferimento della cultura autogestita milanese: musica, teatro, dibattiti, radio, festival, eventi d’arte, sport e persino servizi sociali, sino a diventare a sua volta un “quartiere in miniatura” con ristoranti, librerie, uno skate-park e spazio per le arti, definito da Naomi Klein come “praticamente una città a sé”.
Il Centro Sociale Leoncavallo ha preso vita il 18 ottobre 1975 con l’occupazione di un’ex fabbrica di prodotti farmaceutici in via Leoncavallo 22, nel quartiere operario Casoretto di Milano. L’azione fu ideata da gruppi di sinistra extraparlamentare e comitati di quartiere, in una zona segnata da una forte tradizione antifascista e operaia.
Lo sfratto – atteso da anni e ripetutamente rinviato – era stato programmato per il 9 settembre, ma inaspettatamente eseguito nella mattina del 21 agosto, con l’arrivo delle forze dell’ordine alle 7.30, quando non vi era più alcuna presenza all’interno. L’operazione ha posto fine a oltre 130 rinvii e all’occupazione dello stabile da parte dell’Associazione “Mamme del Leoncavallo”.
La proprietà, la società della famiglia Cabassi, ha già richiesto 3 milioni di euro di risarcimento al Viminale per il ritardo accumulato nel procedere con lo sgombero. L’amministrazione comunale stava comunque valutando una soluzione alternativa, con una manifestazione d’interesse presentata per un immobile comunale in via San Dionigi – nella periferia sud-est – destinato a ospitare il nuovo Leoncavallo, previa bonifica e ristrutturazione.
Il sindaco Giuseppe Sala ha espresso sconcerto per il fatto di non essere stato informato preventivamente dallo Stato, pur essendo in corso un dialogo con gli attivisti mirato a una soluzione legale e condivisa. Per Sala, il Leoncavallo ha un valore storico e sociale profondo per Milano e merita di proseguire la sua missione culturale — ovviamente nei limiti della legalità.
Scritto da: DANIELE BIACCHESSI
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