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Per Mosca la Nato è direttamente coinvolta nella guerra, ma la Russia ribadisce di essere pronta al dialogo.
Secondo il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, la Nato è coinvolta nel conflitto russo-ucraino per il sostegno dei Paesi occidentali all’Ucraina. “La Nato è in guerra con la Russia. Questo è ovvio e non richiede ulteriori prove. Sul piano dei negoziati non ci sono stati ancora progressi riguardo il possibile vertice trilaterale tra Russia, Ucraina e Stati Uniti. La Russia rimane aperta e pronta al dialogo”, ha detto Peskov.
Intanto, la Commissione europea ha stanziato 40 milioni di euro aggiuntivi in finanziamenti umanitari per aiutare gli ucraini ad affrontare il quarto inverno di guerra. L’esecutivo Ue specifica che con questi fondi i partner umanitari dell’Ue “forniranno materiali per rifugi, ripareranno case danneggiate e centri per sfollati, e miglioreranno l’accesso ad acqua, servizi igienici e riscaldamento”.
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ammette che in caso di guerra il nostro paese non è dotato di un sistema difensivo in grado di respingere un eventuale operazione militare. “Non siamo pronti né ad un attacco russo né ad un attacco di un’altra nazione, lo dico da più tempo.
Penso che abbiamo il compito di mettere questo Paese nella condizione di difendersi se qualche pazzo decidesse di attaccare: non dico Putin, dico chiunque. Non lo siamo perché non abbiamo investito più in difesa negli ultimi vent’anni e quindi i vent’anni non si recuperano in un anno o in due anni”, sostiene Crosetto.
Quando Crosetto parla del fatto che l’Italia “non ha investito negli ultimi vent’anni” nella difesa, non è solo un’affermazione retorica: ci sono dati concreti che parlano di un ritardo strutturale. L’Italia è spesso sotto la soglia del 2% del PIL speso in difesa, che è una linea guida della NATO da anni.
Questo significa che, pur crescendo, la spesa militare italiana ha una base da recuperare: ad esempio, nel report del Censis si stima che nel 2024 la spesa per la difesa sia pari all’1,5% del PIL. Crosetto stesso ha detto che arrivare al 5% del PIL sarebbe “impossibile” in questo momento, e che un target realistico a lungo termine potrebbe essere il 3,5% entro il 2035.
Quindi c’è un gap temporale tra:
le necessità geopolitiche (es. deterrenza, modernizzazione tecnologica, preparazione in un contesto di conflitto potenziale)
e gli obiettivi pratici che l’Italia può realisticamente raggiungere, date le sue capacità attuali
Uno dei punti più curiosi è proprio come Crosetto richiami i limiti imposti dal Patto di Stabilità europeo e dal bilancio nazionale. Aumento della spesa per la difesa significa dover trovare risorse che non impattino troppo negativamente sul deficit o su altri servizi pubblici.
Questo vincolo produce effetti concreti:
Incrementi graduali: ad esempio, Crosetto ha indicato proiezioni in cui la spesa per la difesa passi dall’1,54% del PIL (dato attuale) all’1,57% nel 2025, poi all’1,58% nel 2026 e all’1,61% nel 2027.
Difficoltà nel raggiungere obiettivi più ambiziosi (3-5 %) nel breve periodo, proprio per il peso che avrebbe sul bilancio, sulla spesa pubblica generale, e sulle richieste di altre aree come sanità, infrastrutture, istruzione.
C’è quindi un contrasto interessante: le dichiarazioni forti sull’importanza della difesa si scontrano con la realtà dei limiti materiali e del bilancio, che rendono ogni salto in avanti lento e costoso.
Un altro elemento curioso: non basta “spendere di più”, se non si investe nei settori giusti. Crosetto ha affermato che gli ultimi vent’anni non hanno prodotto salti significativi tecnologici comparabili a quelli richiesti dall’evoluzione degli scenari geopolitici. Per esempio, dopo il progetto Eurofighter, non ci sono stati molti altri investimenti che abbiano dato tecnologia “di punta” in difesa.
Questo porta a conseguenze pratiche:
La capacità operativa effettiva può essere inferiore a quella teorica che il semplice aumento del budget suggerirebbe.
Tempi di approvvigionamento, produzione, manutenzione e modernizzazione rimangono lunghi: non basta approvare stanziamenti, bisogna che le strutture industriali, i sistemi logistici, la formazione militare e la catena di comando riescano a reggere il passo.
In un contesto in cui la tecnologia militare cambia rapidamente (droni, cyber-sicurezza, guerra ibrida, difesa missilistica), restare “fermi” per anni significa perdere terreno rispetto a potenziali avversari.
Scritto da: DANIELE BIACCHESSI
"L'Attimo Fuggente”, dal lunedì al venerdì dalle 07.00 alle 09.00 e sabato dalle 08.00 alle 10.00, dove la vita italiana verrà analizzata, messa in discussione e a volte apprezzata con le interviste spigolose di Luca Telese e Giuliano Guida Bardi a tutti gli interpreti della vita politica e sociale di tutti i giorni.
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