Il Corsivo

Lo sciopero generale su Gaza e i rapporti tra sindacato e Governo

today3 Ottobre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Sciopero generale contro l’operazione israeliana: sindacati in piazza, Governo all’attacco. La Commissione di garanzia lo dichiara illegittimo, ma la protesta richiama la lunga tradizione degli scioperi politici in Italia.

Oggi la Cgil e il sindacato di base Usb hanno indetto uno sciopero generale per protestare contro l’operazione militare israeliana che ha fermato con l’uso della forza le imbarcazioni della Flotilla in prossimità delle acque territoriali di Gaza. E’ certamente uno sciopero politico contro il Governo di centrodestra che giudica pericolosa e irresponsabile la missione umanitaria e definisce un weekend la stessa astensione dal lavoro odierna.

Ma lo sciopero indetto dalla Cgil viene ritenuto illegittimo dalla Commissione di garanzia perché è in violazione dell’obbligo legale di preavviso, previsto dalla Legge 146/90. Il preavviso può essere non applicato nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori.

Gli scioperi politici in Italia

Senza tornare troppo indietro nel tempo, la storia italiana è piena di scioperi politici antigovernativi: dallo quello di Avola del 1968 all’autunno caldo del 1969, al blocco della Fiat lo stesso anno, dall’astensione del 1972 contro i moti di Reggio Calabria a quella del 1982 per protestare contro la decisione di Confindustria di eliminare la scala mobile, dallo sciopero contro il primo Governo Berlusconi del 1994 alla oceanica manifestazione del Circo Massimo del 2002 contro la riforma dell’articolo 18.

Concertazione o braccio di ferro?

In generale quando un esecutivo si scaglia duramente contro i sindacati ottiene quasi sempre l’effetto contrario. E la dimostrazione di questa teoria saranno le piazze stracolme di persone in tutto il Paese che vedremo oggi.

Non ci sarà la sinistra contro la destra in mezzo alla campagna elettorale delle regionali, come vorrebbe far credere qualche poco preparato membro dell’esecutivo, ma un pezzo consistente del Paese che assiste impotente alle immagini di bambini malnutriti che chiedono pane e contro i quali si scaglia la violenza cieca del Governo di Netanyahu contro la popolazione palestinese.

Giorgia Meloni ha scelto la via dell’offesa e della mancanza di rispetto per larghe fette della popolazione che non la pensano come lei. Alla premier si consiglia invece la vecchia strada maestra della concertazione.

Sciopero generale: un segnale collettivo

Uno sciopero — soprattutto quando è generale, nazionale e connesso a un tema di grande richiamo morale o internazionale come nel caso odierno — non è soltanto un atto di pressione contrattuale o normativa: è anche un momento di visibilità collettiva, un’occasione per rendere percepibile uno stadio di insofferenza sociale e culturale. In un mondo in cui molti conflitti interiori e dissensi circolano nel quotidiano, ma restano invisibili, lo sciopero agisce come una “scossa pubblica”: trasforma la protesta individuale — spesso silenziosa — in un segnale collettivo, riconoscibile e visibile.

Da questo punto di vista, ciò che conta non è soltanto quanto lavoro viene bloccato, ma chi esce di casa per manifestare, quanti parlano in pubblico, quanti manifesti si affiggono, quanta eco ottiene il gesto sui media e nel passaparola cittadino. Lo sciopero, allora, è anche un rito civico, una misura simbolica e uno strumento di coesione fra soggetti che altrimenti resterebbero isolati. Chi aderisce (lavoratori, ma anche studenti, pensionati, cittadini che non lavorano) acquista — almeno per un giorno — la consapevolezza che non è solo: che ciò che protesta ha un peso sociale e può emergere dal “rumore di fondo” delle abitudini.

Uno strumento di solidarietà

In questo senso, uno sciopero di protesta contro una decisione di politica estera assume un’autonomia simbolica che trascende la mera condizione lavorativa: la domanda che i manifestanti portano non è solamente «difendete i miei interessi contrattuali», ma «riconosciamo una dignità, una pietà, una responsabilità comune». È un gesto che chiama alla solidarietà, che vuol attraversare lo spazio pubblico non solo come conflitto economico, ma come appello morale e come segnale che la società non è una somma di individui atomizzati, bensì un tessuto in cui le decisioni politiche internazionali devono calarsi.

Certo, la posta simbolica è fragile: può essere affievolita se lo sciopero viene presentato come “strumento in mano a forze politiche”, se la mobilitazione appare strumentale o delegittimata — come accade ogni volta che viene contestato l’aspetto normativo o procedurale dello sciopero (ad esempio, l’assenza del preavviso). Ma anche queste contestazioni rientrano nel linguaggio della lotta simbolica: chi dice che lo sciopero è “fuori-legge” o “illegittimo” tenta di ridurlo a mera irregolarità amministrativa, per spogliarlo della sua forza espressiva e sociale.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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