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Mamdani sindaco di New York. Virginia e New Jersey ai dem. Trump sconfitto ovunque

today5 Novembre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Rivincita democratica negli Stati Uniti: Mamdani fa la storia a New York, Spanberger e Sherrill conquistano Virginia e New Jersey. Trump ammette la sconfitta.

In poche ore, negli Stati Uniti va in scena il riscatto dell’opposizione. Mamdani è il nuovo sindaco di New York, il primo musulmano nella storia della grande Mela a ricoprire questo incarico. La proiezione è stata confermata da tutti i grandi network televisivi Usa. Col 75% dei voti scrutinati, Mamdani ha uno scarto di nove punti.

A nulla è servito l’appello del presidente Donald Trump agli ebrei di New York: “Votate contro Zohran Mamdani”. E’ riuscito a catalizzare intorno al suo progetto soprattutto i giovani newyorchesi attraverso una capillare campagna elettorale, fisica e virtuale. “Il fatto che non ero sulla scheda elettorale e lo shutdown sono stati i due motivi per cui i repubblicani hanno perso le elezioni”, ammette Donald Trump.

La vittoria dem in Virginia e New Jersey

La democratica Abigail Spanberger è la nuova governatrice dello stato della Virginia. L’annuncio arriva dal Decision Desk, l’azienda statunitense che fornisce risultati in diretta per i media americani, nelle proiezioni elettorali. La Virginia normalmente elegge alla carica di governatore il candidato del partito di opposizione al presidente in carica.

Anche il New Jersey va alla candidata democratica Mikie Sherrill, che ha battuto il repubblicano Jack Ciattarelli. La candidata democratica Mary Sheffield, è stata eletta sindaco di Detroit. Il sindaco di Cincinnati, in Ohio, Aftab Pureval, democratico, è stato rieletto, sconfiggendo lo sfidante Cory Bowman, repubblicano, fratellastro del vicepresidente J. D. Vance.

Vittoria di Mamdani

Al di là della “resistenza” politica e delle dinamiche elettorali, uno degli aspetti più rilevanti della vicenda di Zohran Mamdani è il suo radicamento nella città e nelle comunità locali, e il profilo personale multiculturale che lo contraddistingue. Nato a Kampala, in Uganda, e trasferitosi a New York con la famiglia all’età di sette anni, Mamdani ha vissuto la città da “outsider” che entra lentamente nel tessuto urbano, costruendo relazioni e reti locali. Prima ancora di candidarsi, ha svolto lavori di prossimità: ad esempio, è stato consulente per la prevenzione delle esecuzioni immobiliari (foreclosure prevention), aiutando famiglie a rischio di sfratto nel Queens.

Questo percorso personale — di origine migrante, con un’educazione in parte internazionale, ma che ha scelto di vivere e lavorare nei quartieri di New York — dà voce a una dimensione sociale spesso poco raccontata: la politica come continuazione di un’attività quotidiana, fatta di incontrare persone porta a porta, ascoltare storie concrete, camminare per le strade, capire i bisogni reali.

Come raccontato da un profilo del Guardian, la sua popolarità tra i giovani newyorkesi deriva in parte dal fatto che “ha una magnetism that just seems to draw people towards him” (“ha un magnetismo che semplicemente attira le persone”) e che ha fatto campagna nei quartieri periferici, parlando di anziani, immigrati, lavoratori.

Un altro elemento che cattura l’attenzione è il modo in cui Mamdani ha abbracciato la diversità culturale della città. La sua esperienza personale — figlio di genitori di origine indiana e ugandese, cresciuto in una metropoli globale — rispecchia l’anima cosmopolita di New York, città di migrazioni, borghi diversi, lingue e culture intrecciate.

Ciò gli ha permesso di parlare, non solo come politico, ma come “abitante” della città che condivide le condizioni di molti altri: le difficoltà abitative, la mobilità urbana, la pressione sul costo della vita. Per molte persone — giovani, immigrati, precari — la sua figura ha un valore simbolico: non solo “un politico”, ma qualcuno che viene “dal mio quartiere”, che comprende “il mio percorso”. Dal punto di vista personale, Mamdani ha un background lontano dai “classici” profili politici della città. Ha studiato studi africani (Africana Studies) al Bowdoin College nel Maine.

Non è quindi un politico “automatico” costruito dai circuiti, ma piuttosto qualcuno che ha una formazione interdisciplinare, una sensibilità verso temi di migrazione, razza, identità, oltre che sulla città e le infrastrutture urbane. Questo profilo arricchisce la sua candidatura non solo come “vinci­tor­e”, ma come simbolo di una città che cambia, che riflette nuove generazioni, nuove radici.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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