Il Corsivo

Scontro tra Governo e opposizione sulla patrimoniale e sciopero generale

today10 Novembre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Patrimoniale e sciopero dividono la politica: torna un dibattito che l’Italia affronta da trent’anni senza soluzioni.

L’introduzione di una ipotetica patrimoniale e l’astensione dal lavoro annunciata dalla Cgil il prossimo 12 dicembre aumentano le distanze tra Governo e una parte dell’opposizione. Tutto accade nel bel mezzo della campagna elettorale delle regionali in Puglia e Campania, date dai sondaggisti al centrosinistra, e Veneto riferibili al centrodestra.

Il segretario della Cgil Maurizio Landini annuncia lo sciopero generale e chiede un contributo dell’1% da parte di chi ha patrimoni sopra i due milioni di euro. La premier Giorgia Meloni respinge al mittente la proposta. La segretaria dem Elly Schlein parla di una tassazione europea sulle persone che hanno milioni a disposizione.

Un dibattito vecchio

I temi politici conseguenti portano l’orologio della Storia indietro di 31 anni, nei mesi successivi alla prima vittoria di Silvio Berlusconi alle politiche del 28 marzo 1994 e al successivo sciopero generale del 12 novembre 1994, quando i sindacati scesero in piazza contro la riforma delle pensione e i tagli in finanziaria. Lo stesso scontro si è prodotto, con partiti che portavano altri nomi, simboli diversi, ma identiche modalità, in modo ciclico nel corso del tempo, fino ad oggi.

Dunque, quella a cui stiamo assistendo è una discussione vecchia, obsoleta, infinita, che però dimostra quanto le cause dei problemi che attanagliano il nostro paese non siano state risolte. Le disuguaglianze tra popolazione ricca e povera sono aumentate, il potere dei salari dei lavoratori diminuiti, lo sviluppo industriale è rimasto solo sulla carta, le soluzioni sono le stesse, e le riforme annunciate da tutti i governi sono rimaste in gran parte promesse elettorali.

Ipoteca patrimoniale

L’idea di una tassa straordinaria sui grandi patrimoni — la cosiddetta “patrimoniale” — è tornata al centro del dibattito italiano, specie alla luce dei pronunciamenti del CGIL e dell’annuncio dello sciopero generale del prossimo 12 dicembre. In particolare, il segretario della CGIL Maurizio Landini ha proposto un contributo dell’1 % sui patrimoni netti superiori a 2 milioni di euro, stimando un potenziale gettito dell’ordine di 26 miliardi di euro da destinare a sanità, istruzione e lavoro.

Tecnicamente, la patrimoniale colpisce lo “stock” di ricchezza — beni immobili, titoli finanziari, depositi, altri asset — e non direttamente il reddito come l’IRPEF. Le ragioni addotte a favore riguardano essenzialmente due aspetti: la crescente concentrazione della ricchezza in poche mani e la necessità di reperire risorse per finanziare politiche pubbliche in un contesto di fragilità economica.

La patrimoniale è un’imposta che colpisce non tanto il reddito prodotto nel periodo, ma il patrimonio detenuto da un soggetto — beni mobili e immobili, titoli finanziari, depositi, partecipazioni societarie — ossia lo “stock” di ricchezza accumulata. In Italia già esistono imposte che hanno carattere patrimoniale (ad esempio la IMU sugli immobili o la IVAFE sui beni finanziari detenuti all’estero) e, secondo un’analisi dell’Osservatorio CPI, nel 2020 le imposte patrimoniali hanno rappresentato circa il 6 % del gettito fiscale complessivo, pari a circa 40,1 miliardi di euro.

Diversamente dalle imposte sul reddito, che tassano ciò che si guadagna in un anno (come la IRPEF in Italia), la patrimoniale punterebbe a una ricchezza già accumulata: è un “prelievo” sulla ricchezza stessa.  Tecnicamente, per introdurla occorrerebbe definire la base imponibile (vale a dire quale patrimonio va considerato, con quali criteri), la soglia sopra la quale si applica, l’aliquota da applicare e le modalità di valutazione dei beni (che possono essere immobili, partecipazioni non quotate, arte, ecc.).

Nel dibattito pubblico italiano la patrimoniale viene spesso evocata come strumento che potrebbe contribuire alla redistribuzione della ricchezza, visto l’aumento delle disuguaglianze e il rallentamento dello sviluppo economico. È vista come una possibile risposta a chi sostiene che chi ha molto dovrebbe contribuire proporzionalmente di più. Allo stesso tempo però è oggetto di accese contestazioni: chi è contrario sostiene che rischia di penalizzare risparmio e investimenti, di spingere capitali all’estero e di incontrare difficoltà amministrative di valutazione degli asset.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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