Il Corsivo

Il terremoto in Irpinia 45 anni dopo. La ricostruzione non è ancora terminata

today24 Novembre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Il terremoto dell’Irpinia, 45 anni dopo: una ferita che resta aperta tra promesse infrante, ricostruzioni infinite e una memoria che continua a chiedere verità.

23 novembre 1980, 45 anni fa. E’ una fredda domenica come tante. Le famiglie italiane mangiano e guardano il telegiornale: le notizie della giornata, la politica, la cronaca, gli esteri, lo sport. Il flusso di notizie viene interrotto da una notizia che giunge da lontano. Un potente terremoto del 6,9 rade al suolo una vasta zona del Sud, tra la Campania e la Basilicata. Si sbriciolano uno dopo l’altro Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Calabritto, Teora, Conza della Campania, Balvano. Lesioni e crolli si verificano a Napoli, Avellino, Potenza, in ogni luogo. 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti.

La radio al servizio della verità

Ero un giovane giornalista. Decisi con l’amico e fotografo Marco Deidda di affrontare il lungo viaggio verso l’Irpinia. Arrivammo il 24 novembre sera a Buccino. Una strada, una decina di morti sulle strade, persone abbandonate da Dio e dagli uomini, senza più niente, senza casa. Alcuni vagavano come zombie con le ciabatte e il pigiama dalla sera prima. Solo un radioamatore lanciava i suoi disperati appelli dall’etere che vennero ascoltati solo molte ore dopo il disastro.

Ricordo alcune scene che hanno accompagnato la mia memoria di cronista. Decine di bare allineate sul sagrato della chiesa di Sant’Angelo de Lombardi, nel silenzio e nell’incredulità generale. Il paese di Laviano per centinaia di anni in collina sprofondato a valle. Le continue e ripetute scosse di assestamento, certe volte perfino più forti di quella devastante del 23 novembre. Le vergognose menzogne di sindaci, assessori, ministri, sottosegretari, funzionari dello Stato, alle varie conferenze stampa ascoltate a Napoli, Avellino, Potenza. Ma ricordo anche le parole chiare e precise dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, un uomo per bene.

Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”. 45 anni dopo il terremoto dell’Irpinia, le parole di Pertini suonano da monito, a futura memoria.

Terremoto in Irpinia

Il terremoto dell’Irpinia ha inciso profondamente anche l’identità culturale delle comunità colpite, trasformandone le tradizioni, i legami sociali e il senso di appartenenza. Prima del sisma molti borghi irpini erano piccoli nuclei di vita rurale, con antiche case in pietra, stretti vicoli, feste e rituali tradizionali che avevano scandito per secoli il ritmo delle comunità. Quando la terra tremò vennero spazzate via parti preziose del patrimonio materiale e immateriale: le chiese, le piazze, i luoghi di incontro, ma anche ricordi, fotografie e oggetti di memoria.

Nei giorni successivi, la distruzione fisica coincideva con un vuoto simbolico, che molte famiglie tentarono di colmare con racconti, fotografie e testimonianze conservate con cura. La ricostruzione fu concepita non solo come rimessa in piedi delle mura, ma anche come occasione per ricostruire la “memoria collettiva”: da un lato, si cercò di recuperare gli assetti urbanistici tradizionali — in alcuni comuni come Calitri si privilegiò una ricostruzione “in situ”, cercando di preservare la conformazione originaria del borgo. Dall’altro, furono realizzate mostre documentarie e archivi fotografici per raccontare la vita prima e dopo il sisma.

Queste iniziative culturali hanno avuto un duplice scopo: aiutare la popolazione a elaborare il trauma, e allo stesso tempo tramandare alle generazioni future ciò che era stato perduto. In questo sforzo di memoria, la fotografia ha avuto un ruolo decisivo. Nei giorni immediatamente successivi al disastro, fotografi locali e nazionali si misero in azione per documentare la devastazione ma anche la resilienza delle persone: immagini di soccorritori al lavoro, di case distrutte, di famiglie riunite attorno ai pochi beni rimasti o allestendo rifugi provvisori.

Quel materiale fotografico non venne nascosto, ma conservato, esposto e condiviso nel tempo, anche grazie al coinvolgimento della Soprintendenza. Attraverso queste testimonianze visive, ogni scossa, ogni sorriso faticoso, ogni baracca provvisoria, viene ricordato non come mero episodio di cronaca, ma come capitolo fondamentale nella storia di un territorio. Parallelamente, la ricostruzione ha stimolato una rinascita dello spirito comunitario: malgrado la distruzione, sono emerse storie di solidarietà spontanea. Volontari, radioamatori, famiglie che si aiutavano a vicenda, comunità che riscoprivano l’importanza della condivisione.

Il ruolo delle radio libere fu emblematico: in assenza di una Protezione Civile strutturata, fu grazie a stazioni radio improvvisate che molti lanci di soccorso e appelli riuscirono a unire vittime e soccorritori. Questo media “alternativo” diventò simbolo di resistenza culturale e di resilienza tecnologica, perché permise di mantenere viva una comunicazione diretta tra le persone, proprio quando tutto sembrava crollato. Nel tempo, anziché dissolversi, il trauma si è trasformato in risorsa di identità.

Le comunità irpine, pur segnate dallo spopolamento nelle aree interne, mantengono una forte memoria collettiva: ogni anniversario diventa l’occasione per eventi culturali, per esposizioni, per incontri nelle chiese restaurate, nei musei locali o negli archivi statali. Attraverso questa memoria attiva, il terremoto non rimane un capitolo chiuso, ma diventa parte integrante del tessuto sociale: le nuove generazioni conoscono le storie dei nonni, vedono le fotografie in mostra, ascoltano le registrazioni delle radio libere e partecipano a iniziative di recupero delle tradizioni e dei luoghi.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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