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La premier vuole il premierato entro gennaio 2026. Le riforme costituzionali sono il cruccio di Fdi

today27 Novembre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

La premier Meloni spinge per accelerare il premierato: riforma in Aula già a gennaio tra tensioni politiche e timori per gli equilibri costituzionali.

L’idea della premier Giorgia Meloni è quella di accelerare dove possibile il provvedimento sul premierato, cioè l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Così il governo, nella conferenza dei capigruppo di Montecitorio, ha portato la richiesta di calendarizzare la riforma istituzionale in Aula già a gennaio, abbreviando il cammino della discussione parlamentare.

Infatti ha preteso, come già fatto anche in precedenza, che il premierato rientri nella programmazione trimestrale dell’Aula della Camera, in modo che appena terminato il lavoro in commissione possa arrivare in Aula, pronto per essere votato, approvato e portato ai cittadini attraverso un referendum, come previsto dall’iter di tutte le riforme in grado di cambiare la nostra Costituzione.

Le riforme costituzionali sono il cruccio di Fdi

Le riforme costituzionali sono il cruccio di Meloni e di Fdi. Lo dimostrano gli attacchi al Quirinale approfittando delle dichiarazioni dette in privato del consigliere Francesco Garofani, la proposta di legge elettorale senza l’accordo con l’opposizione, dopo la sconfitta alle regionali in Campania e Puglia, e il forte ridimensionamento del partito in Veneto.

Il premierato è la proposta della maggioranza di centrodestra di riforma istituzionale volta a rafforzare il ruolo del capo del governo, attraverso l’elezione diretta del presidente del Consiglio – premier – e l’istituzione di un sistema semipresidenziale. Il premierato, senza un sistema di pesi e contrappesi, renderebbe il ruolo del presidente della Repubblica ad un mero passacarte e ridurrebbe il potere legislativo del Parlamento, trasformando la nostra Costituzione in un cumulo di macerie.

La Premier vuole il premierato

Un punto centrale della riforma proposta dalla maggioranza guidata da Giorgia Meloni, riguarda la modalità con cui verrebbe eletto il capo del governo: con l’adozione del cosiddetto Premierato, il presidente del Consiglio non sarebbe più scelto tramite incarico conferito dal capo dello Stato dopo le consultazioni tra partiti, bensì direttamente dai cittadini attraverso elezione a suffragio universale e diretto. In pratica, un sistema del genere renderebbe simultanee, con la stessa scheda elettorale, sia l’elezione delle Camere (Camera e Senato) sia quella del Presidente del Consiglio, in un’unica operazione di voto.

Nel dettaglio, la riforma prevede che il Premier eletto duri in carica per 5 anni (ossia per l’intera durata della legislatura), e possa essere rieletto per non più di due mandati consecutivi. Altra caratteristica prevista riguarda il superamento del sistema attuale di “governi a geometria variabile”: la maggioranza parlamentare sarebbe sostanzialmente “bloccata”, nel senso che, una volta eletto con suffragio diretto il Premier, non potrebbe più esserci un governo diverso dalla coalizione che lo ha sostenuto  quantomeno se non attraverso una mozione di sfiducia o una nuova elezione.

Dal punto di vista istituzionale, questo modello rappresenta una svolta radicale: modifica profondamente il rapporto tra esecutivo e Parlamento, ridisegnando non solo la legittimazione del governo, ma anche la forma stessa di governo. Oggi, secondo la Costituzione vigente, la fiducia del Parlamento rimane centrale: dopo le elezioni politiche, il capo dello Stato propone un Presidente del Consiglio, che deve ottenere la fiducia di Camera e Senato affinché il governo possa insediarsi. Con il premierato, invece, il ruolo del Parlamento verrebbe ridimensionato: l’esecutivo deriverebbe non da negoziati di alleanze post-elettorali, ma da una scelta diretta dell’elettorato.

I sostenitori della riforma argomentano che questo cambiamento è necessario per garantire stabilità e continuità di governo. Come ha dichiarato la premier: la riforma non sarebbe pensata solo per l’attuale esecutivo, ma per “i governi che verranno”, in modo che possano avere “tempo per realizzare il mandato” e non essere costantemente ostacolati da crisi parlamentari. L’idea è che il premierato possa porre fine ai cosiddetti “ribaltoni” e dare al Paese l’opportunità di stabilità e programmazione a medio-lungo termine.

Tuttavia, le implicazioni di questo cambio istituzionale sono molteplici e complesse: cambierebbe non solo il sistema politico, ma anche la percezione del rapporto tra cittadino e potere esecutivo. L’elezione diretta del Premier potrebbe rafforzare la legittimità democratica del governo ma pone interrogativi circa il bilanciamento dei poteri. Porterebbe potenzialmente a un esecutivo molto più forte e stabile, ma con un Parlamento indebolito rispetto al ruolo attuale, e con un Presidente della Repubblica che perderebbe uno dei suoi poteri tradizionali: quello di nominare il capo del governo.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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