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Istat: mercato del lavoro fermo per i giovani, gli over 50 mantengono l’occupazione

today3 Dicembre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Il lavoro cresce, ma non per i giovani: gli over 50 trainano l’occupazione mentre cala quella under 35.

Anche gli ultimi dati Istat sul mercato del lavoro confermano che l’Italia non è un paese che investe sui giovani. I numeri che non sono di destra, di centro, di sinistra, dicono che a ottobre il tasso di occupazione degli under 35 segna un calo su base mensile, trimestrale e annuale. L’unica fascia di età che contribuisce all’aumento di posti di lavoro è quella degli over 50. I numeri sono influenzati dalla salita dell’età pensionabile, anche per effetto delle norme approvate o mantenute, dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.

Il rapporto Istat

In termini generali, gli occupati raggiungono quota 24 milioni e 208mila, con tasso di occupazione al 62,7%. Si tratta di un record storico, ma pur sempre di una percentuale ai gradini più bassi d’Europa. Sempre su base annuale, abbiamo 288 mila dipendenti a tempo indeterminato in più e 188 mila precari in meno. Completa il quadro la crescita di 123 mila lavoratori indipendenti. Quindi c’è più lavoro stabile, ma anche più partite Iva.

A ottobre gli occupati crescono di 75 mila unità rispetto a settembre 2025. Nel confronto con ottobre 2024, invece, la crescita è di 224 mila. Il ritmo su base annuale è più lento di quello registrato tra il 2021 e la prima parte del 2024. La crescita maggiore è tra le donne, che però presentano un tasso di occupazione al 54,2% contro il 71,2% degli uomini. Oltre al fisiologico rimbalzo dovuto alla progressiva ripartenza delle attività, è stata spinta da misure di investimento come il Pnrr e i bonus edilizi.

Miglioramento strutturale del lavoro?

Un elemento fondamentale da considerare è che l’aumento degli occupati registrato di recente non riflette necessariamente un miglioramento strutturale del mercato del lavoro, ma in parte una ristrutturazione demografica e normativa. Per le nuove generazioni, permane un fenomeno di accesso ritardato o difficoltoso al mercato del lavoro: la transizione dallo studio al lavoro stabile si allunga, il che significa che sempre di più i giovani rimangono in percorsi formativi, precariato o attese, con conseguenze sul loro potere d’acquisto, autonomia e progetti di vita.

Molti entrano nel mondo del lavoro tardi, con contratti flessibili o lavori temporanei che non offrono la sicurezza di un impiego stabile, rendendo più difficile costruire un percorso professionale duraturo. Alcuni osservatori sottolineano che questo scenario contribuisce a una crescente disillusione e scoraggiamento tra i giovani, che vedono poche prospettive di stabilità.

Un altro aspetto da non sottovalutare è che l’apparente “efficienza” del mercato del lavoro, misurata dai numeri totali, nasconde un mix composito: l’aumento riguarda sia dipendenti a tempo indeterminato sia lavoratori indipendenti o autonomi, un segnale che molti cercano di reinventarsi per aggirare la difficoltà di ottenere un contratto stabile. Questo significa che, se da un lato c’è un aumento dell’occupazione “ufficiale”, dall’altro cresce la parte di lavoro atipico o precario, con tutte le implicazioni in termini di protezione sociale, reddito, continuità e pianificazione del futuro.

Le conseguenze di questo squilibrio generazionale sono profonde e rischiano di essere durature: un mercato del lavoro che favorisce gli over 50 può mantenere artificialmente elevata l’occupazione complessiva, ma di fatto limita le opportunità per i giovani riducendo la capacità di rinnovamento, di innovazione e di crescita sociale ed economica. Questo mix rischia di consolidare una struttura occupazionale “bloccata”, dove generazioni diverse convivono senza equilibrio, con effetti negativi su mobilità sociale, equità intergenerazionale e il ricambio generazionale necessario per un’economia dinamica.

Infine, guardando al medio–lungo termine, la combinazione tra demografia sfavorevole e un mercato del lavoro rallentato per loro può tradursi in una perdita di capitale umano e potenziale produttivo per il Paese. Se non si interviene con politiche attive di formazione, sostegno all’ingresso dei giovani nel lavoro stabile, investimenti su settori ad alta intensità di competenze e una revisione delle regole che attualmente avvantaggiano le fasce più anziane, si rischia di cristallizzare un sistema che penalizza sistematicamente chi arriva dopo.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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