Il Corsivo

La ricostruzione dell’Isis e la strage di Sydney

today19 Dicembre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Una serie di attacchi e complotti in Australia, Medio Oriente ed Europa segnala il ritorno di una strategia jihadista globale, mentre l’Isis rialza la testa dopo anni di apparente silenzio.

L’incubo del terrorismo jhadista è tornato una bella domenica di sole sulla spiaggia di Bondi, vicino a Sydney, in Australia. Sajid Akram e Naveed Akram, padre e figlio, hanno ucciso 15 persone e 10 feriti, provocando uno stato di allerta antiterrorismo nel paese. Gli autori dell’eccidio avevano giurato la loro adesione al nuovo califfato, all’Isis ricostruita in silenzio negli ultimi mesi. Nel 2019, il figlio Naveed era già stato indagato per terrorismo per i suoi legami accertati con Isaak al-Matari, che sta scontando sette anni di carcere per aver pianificato un’insurrezione dell’Isis in qualità di autoproclamato comandante australiano del gruppo terroristico.

Gli altri precedenti

Il giorno precedente alla strage sulla spiaggia di Bondi un uomo dell’Isis appartenente alle forze di sicurezza siriane ha ucciso tre americani, due soldati e un civile, in un’imboscata a Palmira. L’attentato ha messo in enorme imbarazzo il governo del presidente Ahmed al-Sharaa, cioè Abu Muhammad al-Jolani, ha combattuto in passato per l’Isis e Al-Qaeda. L’attentato dimostra che il nuovo esercito siriano, formato anche da ex terroristi jihadisti, non è affidabile e che l’operato del presidente non è affatto gradito a tutti i suoi ex combattenti.

C’è di più. In Australia sono stati colpiti gli ebrei e in Medio Oriente gli americani, ma una settimana fa in Germania gli obiettivi erano i cristiani. Cinque persone – tre marocchini, un imam egiziano e un siriano – sono stati arrestati con l’accusa di pianificare un attentato in un mercatino di Natale a nord-est di Monaco, nel circondario di Dingolfing-Landau (Bassa Baviera). Gli attacchi in Australia, Siria e quello pianificato in Germania fanno dunque parte di una identica strategia internazionale che sembrava sopita dopo la sconfitta dell’Isis nel 2019 e che invece sta risorgendo dopo l’esplosione nel Sahel africano.

L’evoluzione strutturale e geografica della minaccia jihadista

Dopo la perdita delle roccaforti territoriali in Siria e Iraq, lo Stato Islamico non è scomparso: piuttosto, ha trasformato il proprio modello operativo da una organizzazione centralizzata con controllo territoriale in Medio Oriente a una rete globale di affiliate regionali autonome, ciascuna con significative capacità operative e spesso integrate nei contesti locali. Questo modello ibrido consente all’Isis di mantenere una presenza in più continenti, pur avendo un numero di combattenti significativamente ridotto nella sua area storica di insorgenza. La struttura decentralizzata riduce l’importanza di un comando centrale visibile e rende più difficile per i servizi di intelligence prevedere e contrastare tutte le potenziali minacce.

Un elemento chiave di questa evoluzione è la espansione delle affiliate in Africa, soprattutto nella regione del Sahel, che oggi è considerata l’epicentro globale della violenza legata al terrorismo. La combinazione di instabilità politica, colpi di Stato militari in paesi come Mali, Burkina Faso e Niger, e il ritiro delle forze internazionali di contrasto ha creato un vuoto di sicurezza che gruppi affiliati all’Isis e altri come Jama’at Nusrat al-Islam wal Muslimeen (JNIM) hanno sfruttato per consolidare zone di influenza e aumentare gli attacchi contro forze statali e civili. In alcune aree, queste organizzazioni non solo operano ma cercano di istituire forme di “governance jihadista”, imponendo regole e controllando territori rurali con metodi coercitivi.

La crescita di questi gruppi in Africa non è casuale: la regione soffre di governo debole, crisi economiche, tensioni intercomunitarie e un controllo territoriale limitato da parte degli Stati, condizioni ideali per il reclutamento di militanti e l’espansione di attività terroristiche. Secondo gli ultimi dati, la maggior parte delle morti per terrorismo nel mondo si registrano proprio in questa area, segno che la minaccia jihadista non è confinata alle zone mediorientali storiche ma si è rilocalizzata dove lo spazio di manovra è maggiore.

Un’altra componente significativa della trasformazione riguarda la natura del reclutamento e della propaganda. Se in passato l’Isis contava in gran parte su foreign fighters che si spostavano fisicamente per unirsi al “califfato”, oggi i meccanismi di radicalizzazione sono spesso virtuali e transnazionali. La rete digitale, attraverso social media e piattaforme crittografate, riesce a raggiungere individui isolati in paesi lontani, spingendoli verso atti di violenza anche senza un contatto organizzativo diretto. Questo fenomeno aumenta il rischio di attentati “ispirati” piuttosto che pianificati centralmente, rendendo la prevenzione molto più complessa.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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