A cura di Ferruccio Bovio Nel presentare a Montecitorio l’informativa urgente del Governo sulle condizioni di detenzione di Ilaria Salis, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dichiara che il trattamento riservato alla 39enne insegnante di Monza risulta essere “in netto miglioramento, sotto l’aspetto igienico e quello sanitario”, anche grazie ai ripetuti interventi dell’Ambasciata italiana a Budapest. Il caso Salis – ha aggiunto il ministro – rientra tra gli altri 2.400 che riguardano i nostri connazionali incarcerati all’estero e per i quali, indipendentemente dal merito della loro situazione giudiziaria, la Farnesina si è sempre attivata per fornire assistenza e per garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali. Cosa che è avvenuta anche per la vicenda in questione. L’Italia è “la culla del diritto e la patria di Cesare Beccaria” e pertanto, ha sottolineato Tajani, le immagini di Ilaria Salis in catene hanno colpito ciascuno di noi ed hanno avuto un “forte impatto sull’opinione pubblica”. Si tratta, infatti, di una modalità di condurre e di trattenere in tribunale un imputato che – a prescindere dalla sua innocenza o colpevolezza – “non è in linea con lo spirito delle norme europee”: e non a caso, la presidente del Consiglio ha subito dato disposizione di convocare l’ambasciatore ungherese. Quanto alla richiesta avanzata dalla famiglia Salis circa l’eventualità di poter fruire degli arresti domiciliari, Tajani ha spiegato che l’unica strada percorribile, quando si tratta di un reato commesso in uno Stato membro dell’Unione europea, è quella di seguire le regole: e le regole comunitarie prevedono che per chiedere gli arresti domiciliari in Italia, “serve prima chiederli e ottenerli nel Paese che esercita la giurisdizione”. In merito, invece, ad una seconda domanda – presentata, in subordine alla prima, sempre dai familiari dell’imputata – sulla possibilità di ottenere il beneficio dei domiciliari scontandoli almeno presso la nostra ambasciata in Ungheria, il ministro degli Esteri ha espresso la sua contrarietà, considerato che un’ambasciata “non è un luogo idoneo a misure coercitive” e non può, quindi, essere utilizzato per andare incontro alle aspettative della Salis. Ed a questo proposito Tajani ha anche ricordato come la cosa fosse già stata rappresentata – da parte del ministro della Giustizia, Carlo Nordio – anche direttamente al padre della detenuta, l’ingegnere Roberto Salis, durante l’incontro da questi avuto a Roma con lo stesso Tajani e con il suo collega Guardasigilli, il 5 febbraio scorso. In quella occasione, venne, infatti, spiegato al genitore della Salis che una “missione diplomatica non è adeguata a sostituirsi come luogo di misure coercitive”, dal momento che un’ambasciata non è una casa privata, ma è un ambiente in cui vengono custoditi anche documenti riservati e nel quale non è, ovviamente, possibile girare liberamente. Si tratta, dunque, di una “questione di sicurezza nazionale e va preservata la sicurezza dello Stato”. Di conseguenza, è necessario “agire con discrezione e gradualità”: metodo che, di solito, consente il raggiungimento dei migliori risultati proprio nell’interesse del detenuto, come si è visto nel caso di Alessia Piperno arrestata arbitrariamente dai pasdaran iraniani oppure in quello di Parick Zaki. 09 Febbraio 2024 Se avete considerazioni da fare su questi temi, potete scriverci al nostro indirizzo mail fb@nextcomitaly.com oppure su Facebook o Instagram Saremo lieti di rispondervi
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