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Economia

Ex Ilva, firmato accordo cigs per 3062 lavoratori: su vendita partita ancora aperta

today4 Marzo 2025

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(Adnkronos)

Sulla cassa integrazione c’è l’accordo, sulla vendita invece i giochi sono ancora aperti. Il dossier Ilva prosegue su un doppio binario, in attesa della deadline che si è dato l’esecutivo per scegliere un pretendente per le acciaierie di Taranto, Novi Ligure e Cornigliano, fissata per ora al 14 marzo. Rumors danno un testa a testa serrato tra gli azeri di Baku Steel e gli indiani di Jindal, altre indiscrezioni parlano di negoziati per un’intesa tra le due favorite, dettagliando lo scheletro di una possibile joint venture. Un’ipotesi però, quest’ultima, che, a quanto apprende l’AdnKronos, non parrebbe al momento sul tavolo. Infatti, secondo fonti bene informate, ci sarebbero “colloqui in corso” tra le due ma senza ancora nulla di concreto sul piatto. Sullo sfondo restano gli americani del fondo Bedrock, fermo sulla propria proposta iniziale.

Non è escluso peraltro che in partita torni anche lo Stato, con una partecipazione minoritaria nel capitale della società per “accompagnare il rilancio produttivo”, come spiega il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Intanto, i sindacati sono riusciti a trovare una quadra con i tecnici del ministero del Lavoro e i rappresentanti di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria per la proroga della cassa per un altro anno per 3062 lavoratori (numero in discesa rispetto ai 3400 annunciati inizialmente dall’azienda). Ora le tute blu si preparano a incontrare il governo l’11 marzo a Palazzo Chigi, per capire quale sarà il destino dell’ex Ilva.

L’intesa raggiunta al ministero del Lavoro tra AdI e metalmeccanici però, nel mentre, dà un po’ di fiato ai lavoratori. Arriva dopo tre incontri e soprattutto dopo la convocazione per martedì prossimo, che ha contribuito a creare un clima di “rasserenamento”, riferiscono fonti presenti al tavolo, e secondo la ministra del Lavoro, Marina Calderone, conferma la “massima attenzione del ministero alla tutela dei livelli occupazionali e dei redditi dei lavoratori”.

Tra i punti principali, oltre alla riduzione del numero di dipendenti coinvolti, figurano l’integrazione salariale al 70% e la rotazione senza alcuna sospensione a zero ore. Sono poi esclusi dalla cassa i manutentori impiegati nell’attuazione del piano di ripartenza, è prevista la maturazione dei ratei di 13esima e almeno 1 giorno ferie, ed è stato predisposto l’impianto del premio di welfare, pari all’1% del valore annuo della paga base al raggiungimento di 3 milioni di tonnellate di acciaio, 2% a 3,5 milioni, 3% a 4 milioni. In generale, i sindacati si dicono “soddisfatti” dell’accordo: “non era scontato”, evidenzia la Uilm, “mette in sicurezza i lavoratori e il loro reddito e ci consente di proseguire in un solco di relazioni industriali che saranno fondamentali per la costruzione di un accordo sindacale in vista della cessione alla nuova proprietà”, afferma la Fim. Ma c’è un però: il piano di ripartenza, fa notare la Fiom, “verrà seguito con il raggiungimento, nel corso del 2025, di 4 milioni di tonnellate di acciaio invece che le 5 milioni tonnellate originariamente previste”. Un obiettivo rivisto a ribasso che rende sempre più urgente il confronto con Palazzo Chigi circa le procedure di vendita degli impianti, essenziale per capire come procedere con il rilancio produttivo di un’acciaieria che, a pieno regime, sfiorava i 10 milioni di tonnellate l’anno.

Parallelamente, la partita tra i player in corsa va avanti. Sul tavolo ci sono tre offerte, che i Commissari straordinari hanno portato al vaglio di Urso e del governo. Da un lato, Jindal, che fa gola dal punto di vista industriale, perché ha un profilo manifatturiero imponente e un know-how acclarato nella produzione d’acciaio con una specializzazione nell’uso della gassificazione per produrre il Dri (Direct Reduced Iron), centrale nei processi di decarbonizzazione perché funzionale alla produzione di acciaio green. Recentemente, gli indiani hanno ritoccato l’offerta al rialzo, arrivando a un totale di poco inferiore ai 4 miliardi, e si sarebbero detti disponibili ad aumentare il numero di occupati da tenere nelle acciaierie, portandolo più vicino a quello proposto dai competitor azeri, con una differenza che dovrebbe aggirarsi intorno al 6-7%. D’altro canto, Baku Steel, seppure possa contare su una minore esperienza nella gestione di sistemi complessi, oltre a garantire comunque un numero maggiore di lavoratori, avrebbe messo sul tavolo una proposta molto solida a livello finanziario (soprattutto sul lato ‘cash’, forte anche dello Stato azero alle spalle). Il fondo americano Bedrock pare invece essere rimasto alla propria offerta iniziale. Stando alle indiscrezioni di stampa circolate in queste ore, gli indiani avrebbero proposto agli azeri una possibile partnerhisp, mentre secondo altre fonti vicine al dossier, azeri e indiani si starebbero ancora parlando, senza però che proposte effettive abbiano preso ancora corpo. Da Jindal è no comment: le bocche sono cucite.

Sulla presenza dello Stato – invocata anche dalle sigle sindacali – invece è Urso a fare chiarezza: ”Non escludiamo affatto che ci sia una partecipazione largamente minoritaria dello Stato che possa accompagnare questo processo di rilancio produttivo e di riconversione industriale dai forni a caldo ai forni elettrici”, afferma il ministro, ribadendo che “se gli attori dovessero chiederlo potremmo mettere in campo una partecipazione pubblica. Una partecipazione che ci consenta di garantire meglio lo sviluppo industriale degli impianti evitando gli errori del passato”. (di Martina Regis)

Scritto da: Giornale Radio

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