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7 ottobre 2023. Hamas attacca Israele

today7 Ottobre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Due anni dopo l’attacco del 7 ottobre, il Medio Oriente è ancora in guerra: la fragile pace tra Hamas e Israele si gioca al tavolo dei negoziati in Egitto.

È il 7 ottobre 2023. Alle 6,30 del mattino Hamas annuncia l’attacco contro Israele attraverso la cosiddetta “Operazione diluvio”. 5 mila razzi partono dalla Striscia di Gaza verso gli israeliani. Il comandante Mohammed Deif esorta i musulmani del mondo ad unirsi alla lotta. Milizie palestinesi conquistano i valichi di Kerem Shalom e Erez, distruggono carri armati, postazioni militari di frontiera, colpiscono civili e militari israeliani a Sderot, con volto coperto da passamontagna e alla guida di pick up.

Altri combattenti palestinesi atterrano con i deltaplani dove si svolge un festival musicale organizzato a Re’im, aprono il fuoco contro la folla che tenta la fuga. Oltre 260 persone vengono uccisi. uccidendo più di 260 persone. I sopravvissuti all’attacco vengono presi come ostaggi e trasportati a Gaza. Seguono irruzioni nei Kibbutz, stragi in numerose località: Kfar Aza, Be’eri, Netiv HaAsara. Vengono occupate importanti basi militari. Hamas riesce a penetrare le barriere difensive di Israele via terra, via mare e cielo, senza la tempestiva allerta delle forze di sicurezza o un avviso preventivo da parte del Mossad.

Due anni dopo la guerra non è ancora finita

Dal 7 ottobre 2023 inizia la controffensiva israeliana che, tra stop and go, accordi di pace mai rispettati e spinte nazionaliste del governo di ultradestra che sostiene il premier israeliano Netanyahu, giunge fino ad oggi, dove i negoziatori in Egitto cercano di trovare un punto di incontro tra Hamas e Israele sui venti punti del piano di pace proposto dal presidente Donald Trump.

Due anni dopo il conflitto si è ormai allargato dalla Striscia di Gaza alla Cisgiordania, e poi Libano, Yemen, Siria, Iraq, fino in Iran con l’attacco congiunto americano-israeliano. Lo scacchiere internazionale è in subbuglio, tutti guardano a ciò che accade in Egitto, con la speranza che venga siglato un piano di pace duraturo e verificato nel tempo, ma il Medio Oriente resta ancora terra di conflitti mai risolti, di tumulti sociali mai sanati, dove il ruolo delle principali istituzioni mondiali, Onu in primis, è stato fragile, dove la diplomazia non è servita ancora a chiudere la guerra, pagata a caro prezzo dai civili.

Installazioni, memoriali

Uno degli aspetti meno raccontati ma molto potenti del conflitto iniziato il 7 ottobre 2023 è la risposta creativa che ne è nata: installazioni, memoriali, mostre d’arte che non solo conservano la memoria, ma trasformano il dolore in esperienza condivisa, in luogo di empatia e contemplazione. Queste iniziative – non politiche, non propaganda –, offrono finestre insolite su come individui e comunità cercano di “fare” memoria, di dare forma al trauma, di mantenere vive le storie personali in mezzo al caos permanente.

Prendiamo, ad esempio, l’installazione “The Dawn of Darkness: Elegy in Contemporary Art”, allestita al Israel Museum di Gerusalemme. Qui opere già esistenti sono state dialogate con nuove creazioni, alcune ferite nel corpo fisico: quadri rigati da schegge, pezzi danneggiati dai primi assalti, segni materiali della violenza subita. L’esposizione include elementi come Gerbera sotto vetro, fiori che iniziano a decomporre, orologi con lancette impazzite dietro vetri sfocati — simboli del tempo che passa, del lutto che non si dissolve, e dell’incertezza che persiste.

Un altro esempio è la mostra “Or Gadol” a Jaffa Port: artisti provenienti da comunità vicine alla Striscia di Gaza e altri non direttamente colpiti, hanno contribuito con opere nate nel giro di settimane, alcune quasi istantaneamente, dopo gli eventi. Il curatore descrive come molte opere sembrino profezie poi compiute: immagini tranquille di campagne o di famiglie, che si trasformano alla luce degli attacchi in visioni spezzate di perdita. Il contrasto fra bellezza, serenità e ferita è forte — e provoca strani turbamenti, domande che non sempre hanno risposte immediate.

Re’im e The Car Wall

Ancora, il memoriale dei partecipanti al Nova Festival, a Re’im, ha assunto forme affascinanti e simboliche. Sul luogo stesso in cui la festa si teneva, sono piantati alberi, poste fotografie delle vittime, sono state collocate sculture di anemoni rossi — i fiori selvatici che fioriscono nella regione durante l’inverno — per evocare la vita spezzata, la bellezza fragilissima che ritorna, anche se diversa. C’è un uso di oggetti quotidiani — scarpe abbandonate, magliette, zaini — nelle mostre itineranti che ricostruiscono la scena della strage. Oggetti piccoli, intimi, che ricordano che dietro le cifre e le cronache ci sono corpi, abitudini, sogni interrotti.

Un’altra memoria fisica è “The Car Wall”: una parete fatta di automobili bruciate, accumulate dopo gli assalti su Route 232 e dal luogo del festival, che diventa non solo un monumento visivo ma un ambiente, una frontiera tra ciò che era prima e ciò che non potrà tornare come prima.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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