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A cura di Ferruccio Bovio
Ursula von der Leyen ce l’ha, dunque, fatta a riguadagnarsi la presidenza della Commissione Europea, anche se, per riuscire nell’impresa, ha dovuto accettare tutta una serie di compromessi, che certamente non la agevoleranno nella gestione degli affari comunitari del prossimo quinquennio. Sia lei, che i suoi commissari saranno, infatti, costretti a districarsi in una foresta di insidie politiche presenti anche all’interno di quella non chiarissima maggioranza che pure le ha fornito i voti indispensabili per tornare ad occupare la poltrona più importante di Bruxelles.
La Von der Leyen è, quindi, chiamata adesso a scongiurare il rischio di dover guidare un esecutivo troppo condizionato da veti incrociati e da testardi immobilismi, che si rivelerebbero letali in uno scenario che sarà dominato da questioni di fondo che richiedono, invece, risposte immediate e coerenti. E stiamo pensando, essenzialmente, a temi di rilevanza vitale come i rapporti con la Russia, la difesa comune, il rilancio dell’economia europea e la transizione energetica. Temi sui quali, come avrebbe detto Garibaldi, “o si fa l’Europa o si muore”.
Tra questi, visto l’appoggio esplicito manifestatole in sede di voto dai Verdi, la riconfermata leader tedesca temiamo vada incontro a fastidiosi problemi proprio nella conduzione della transizione ecologica, visto che, per riconvertire i sistemi di produzione dell’energia e contenerne il consumo da parte delle imprese e delle famiglie, si renderanno necessari stanziamenti di denaro impressionanti. E si tratta di oneri che, in parte saranno a carico degli Stati (che già oggi non nuotano certo nell’oro) e in parte a carico dei privati, che dovranno così rinunciare – come ha appena ammonito il neo presidente di Confindustria, Emanuele Orsini – ad altri tipi di investimenti, per loro più remunerativi. Del resto, per comprendere il malumore che, a questo proposito, si sta diffondendo sia tra le imprese, che tra i consumatori basta osservare il settore dell’automobile, dove molti produttori hanno cominciato a rallentare la progettazione e la fabbricazione di auto elettriche, delusi da un mercato che sembra tradire tutte le ottimistiche aspettative iniziali e risalenti a pochissimi anni fa.
Gli obbiettivi e le scadenze temporali che il Green Deal ha posto ai Paesi membri dell’Unione si sono, pertanto, rivelati troppo ambiziosi, andando, in tal modo, a smentire certe ingenuità e certe facilonerie ispirate da un fondamentalismo ecologico, incapace di fare i conti con la realtà. Ecco perchè siamo portati a pensare che sarà proprio la questione ambientale a rappresentare il banco di prova più delicato non soltanto per il nuovo governo europeo, ma anche per quelli di tutti i 27 Paesi che compongono l’Unione, dai quali – a questo punto – ci aspettiamo duttilità, moderazione e, soprattutto, consapevolezza della svolta epocale che il nostro Vecchio Continente si trova oggi a dover affrontare.
Buon lavoro e buon senso, Ursula.
Scritto da: Giornale Radio
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