Il Corsivo

La Camera salva Nordio, Mantovano, Piantedosi sul caso Almasri

today10 Ottobre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Caso Almasri: la maggioranza fa muro: la Camera nega il processo ai ministri. La ragion di Stato prevale sulla giustizia internazionale.

Un ricercato viene arrestato in Italia su mandato della Corte penale internazionale. Viene accusato di violenze, omicidi e torture sui prigionieri, e poi rimandato in Libia con un aereo pagato dallo Stato. Quando il criminale Almasri ritorna in patria viene accolto con una festa dai suoi sodali. Viene applicata con ogni probabilità la ragione di Stato perché il Governo a guida Meloni vuole salvaguardare gli accordi tra Italia e Libia in materia di flussi migratori.

La magistratura chiede un processo per Nordio, Mantovano e Piantedosi, tutti accusati di essere a conoscenza della presenza di Almasri in Italia, di aver sconfessato l’arresto della Digos di Torino dando l’autorizzazione di riportarlo in Libia. Le accuse erano di favoreggiamento, peculato per Piantedosi e Mantovano mentre al ministro della Giustizia veniva contestata anche l’omissione di atti d’ufficio. La vicenda arriva alla Camera che vota contro il processo. La maggioranza è compatta. Tre voti distinti (come previsto dal regolamento) e tre risultati uguali: no all’autorizzazione a procedere del Tribunale dei ministri.

La casta salvata dalla casta

Da giorni parlamentari e ministri di maggioranza erano stati precettati: per loro c’era l’obbligo di presenza per evitare, tra essenze e scrutinio segreto, di mettere a rischio il salvataggio dei due ministri e del sottosegretario. Così è scattata la solidarietà della casta nei confronti di una casta, pur in presenza di prove documentali e di testimonianze messe agli atti dal Tribunale dei ministri. Una brutta pagina della storia del nostro paese.

Attenzione, concedere l’autorizzazione a procedere non significa emettere una condanna, ma riaffermare un principio fondamentale: nessun ministro è al di sopra della legge. La giustizia internazionale non è una variante, ma un dovere morale e giuridico. In democrazia, la forza dello Stato non risiede nella paura, ma nella fedeltà alla legge e alla Costituzione.

Il caso Almasri: vicenda

La vicenda di Usāma al-Maṣrī Nāğīm — noto come Almasri — è emersa come uno dei dossier più scabrosi del panorama politico e giudiziario italiano recente. Secondo le fonti, Almasri era un alto dirigente della polizia giudiziaria libica e figura chiave nella gestione dei centri di detenzione in Libia, incluso il carcere di Mitiga, dove sarebbero avvenuti crimini contro l’umanità: torture, omicidi e altre violenze su prigionieri migranti.

All’inizio del 2025, su mandato della Corte Penale Internazionale (CPI), l’Italia emette un ordine di arresto per Almasri. Viene intercettato e fermato in Italia — l’operazione, condotta dalla Digos di Torino, era parte di un meccanismo di cooperazione internazionale per contrastare i crimini gravissimi imputati.

Nei giorni immediatamente successivi, la sua permanenza sul suolo italiano si rivela effimera: nonostante il mandato internazionale, Almasri viene rilasciato in fretta e rimpatriato in Libia con un volo pagato dallo Stato italiano. L’espulsione rapida solleva immediatamente interrogativi sul rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia nei confronti della CPI.

Ritorno in patria e indignazione

Nel momento del ritorno in patria, Almasri viene accolto in Libia con manifestazioni di sostegno da parte dei suoi sodali — un segnale forte della sua rete politica e militare, e dell’importanza che continua a rivestire in certi ambienti libici. Questa circostanza alimenta ulteriormente l’indignazione di chi da subito aveva accusato il governo italiano di aver favorito la fuga di un individuo ricercato per crimini atroci.

Parallelamente all’eco mediatica, scatta un’indagine interna nel nostro Paese: il Tribunale dei Ministri apre un fascicolo per verificare se vi siano responsabilità da parte di esponenti del governo italiano. I nominativi coinvolti sono quelli del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e del sottosegretario Alfredo Mantovano.

 Le accuse mosse includono: favoreggiamento personale aggravato (per tutti e tre), peculato aggravato (per Piantedosi e Mantovano) e omissione di atti d’ufficio aggravata (per Nordio). Nel corso dell’istruttoria, il Tribunale dei Ministri valuta che ci siano elementi sufficienti per chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti dei tre, mentre le accuse contro la presidente del Consiglio Giorgia Meloni vengono archiviate.

Votazioni

Nel passaggio che coinvolge la Camera dei Deputati, l’iter giudiziario si blocca. In tre votazioni separate — come previsto dal regolamento parlamentare — l’Assemblea respinge, con voto segreto e larga maggioranza, la concessione dell’autorizzazione a procedere per tutti e tre gli indagati.

La maggioranza parlamentare si mostra compatta, e del dibattito politico emergono accuse di “precettazioni” e disciplina ferrea nei gruppi di governo per evitare sbandamenti nei voti segreti. Dopo l’esito, il ministro Nordio attacca il Tribunale dei Ministri denunciando che si è “fatto strazio delle norme di diritto”, scatenando la reazione critica dell’Associazione nazionale magistrati (ANM), che contesta l’ingerenza politica e la retorica sull’indipendenza della magistratura.

Sul fronte delle opposizioni e delle parti lese, scatta la protesta: i legali di una delle presunte vittime di Almasri annunciano ricorso alla Corte Costituzionale, sollevando conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato e contestando che il voto di maggioranza violi la Costituzione e i principi del diritto internazionale. La CPI, attende risposte formali dall’Italia sul perché un ricercato per crimini contro l’umanità non sia stato consegnato e su come sia stato possibile il rimpatrio rapido.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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