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Il caso Gedi e la vendita di Repubblica e la Stampa ai greci

today15 Dicembre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Caso Gedi: occupazione, indipendenza editoriale e pluralismo sotto osservazione dopo l’annuncio della cessione al gruppo Antenna.

Da giorni, i colleghi di Repubblica e la Stampa sono in stato di agitazione dopo l’annuncio da parte di Gedi di vendere le due testate al gruppo greco Antenna, guidato da Theodore Kyriakou, secondo cui l’Italia viene considerato un Paese strategico per la propria espansione.

L’azienda Gedi fa capo alla holding Exor di John Elkann, cede dunque due gioielli storici dell’informazione italiana a imprenditori stranieri. E’ un segnale poco edificante del panorama editoriale italiano che dimostra l’assenza di una politica di investimento sulla qualità e lo sviluppo del prodotto, sulla visione imprenditoriale, sulle strategie .

La trattativa del Governo

I comitati di redazione di Repubblica e la Stampa hanno incontrato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’editoria che ha anche ricevuto i vertici di Gedi. Alberto Barachini pretende la tutela dei livelli occupazionali e la garanzia dell’indipendenza editoriale di testate storiche che rappresentano un importante ecosistema informativo pluralistico nazionale. Le opposizioni incalzano il Governo e chiede che qualcuno riferisca in Parlamento.

Gedi ha assicurato “ampia e piena condivisione e collaborazione istituzionale”. Il gruppo greco Antenna conferma che le linee guida dell’investimento si basano sull’indipendenza giornalistica e il pluralismo, nonché il mantenimento della linea editoriale delle testate. A parole tutti predicano bene. Solo i prossimi mesi ci diranno Repubblica e la Stampa continueranno a rappresentare un punto di vista critico dell’informazione del nostro paese, oppure si allineeranno alla conformità dei rapporti di forza del potere politico in carica.

Caso Gedi

La vendita di Repubblica e La Stampa non è un episodio isolato ma si inserisce in una trasformazione strutturale del mercato dei media, sempre più segnato da concentrazioni, disimpegni degli editori tradizionali e ingresso di capitali stranieri. A livello europeo, l’informazione è ormai considerata un settore strategico non solo dal punto di vista economico, ma anche democratico, tanto che l’Unione europea ha avviato negli ultimi anni una riflessione sulla tutela del pluralismo e sull’indipendenza dei media.

Il recente European Media Freedom Act, ad esempio, nasce proprio per rafforzare la trasparenza della proprietà editoriale, prevenire interferenze politiche e garantire condizioni di lavoro adeguate ai giornalisti. Tuttavia, la sua applicazione concreta resta affidata in larga parte agli Stati membri, che continuano ad avere strumenti disomogenei e spesso deboli nel governare operazioni di questo tipo. In Italia, l’assenza di una vera politica industriale per l’editoria ha lasciato spazio a dinamiche di mercato che privilegiano la riduzione dei costi e il disinvestimento rispetto all’innovazione e alla crescita.

L’uscita di scena di un grande gruppo industriale nazionale come Exor pone interrogativi non solo sul futuro delle singole testate, ma sul ruolo stesso dell’editoria come infrastruttura democratica. Il tema non è la nazionalità dell’acquirente in sé, quanto la capacità del sistema pubblico di fissare regole chiare e verificabili nel tempo. Le esperienze passate dimostrano che le dichiarazioni di principio sull’autonomia editoriale e sul pluralismo, se non accompagnate da meccanismi di controllo e da investimenti reali, rischiano di restare lettera morta.

Inoltre, l’ingresso di grandi gruppi multinazionali dell’intrattenimento e della comunicazione in testate giornalistiche tradizionali apre un ulteriore fronte: la possibile ibridazione tra informazione, contenuti commerciali e logiche di audience tipiche del broadcasting. È un passaggio delicato, perché può incidere sul modello di giornalismo praticato, sulla selezione delle notizie e sulle priorità editoriali, soprattutto in una fase storica in cui la sostenibilità economica della stampa è fortemente legata alla pubblicità e alle piattaforme digitali.

Senza un rafforzamento delle redazioni, della formazione professionale e della capacità di produrre inchieste e analisi di qualità, il rischio è che testate storiche vengano progressivamente normalizzate, perdendo quella funzione di presidio critico che le ha rese centrali nel dibattito pubblico. Per questo, la vicenda Gedi non riguarda soltanto un passaggio di proprietà, ma interroga il Paese sulla sua visione dell’informazione come bene comune, sulla responsabilità delle istituzioni e sulla necessità di politiche che considerino il giornalismo non come un costo da comprimere, ma come un investimento essenziale per la tenuta democratica.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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