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A cura di Ferruccio Bovio
L’anno che l’Unione Europea si lascia alle spalle non verrà certo ricordato come uno dei più sereni della sua storia, oramai ultra trentennale. Logorata, infatti, non solo dagli enormi problemi sorti a seguito del conflitto in Ucraina, ma anche da quelli dovuti al ristagno dell’economia ed all’instabilità politica di Paesi guida come Francia e Germania, Bruxelles si trova adesso a dover fronteggiare anche un insidioso “sentiment” di disaffezione rispetto ai suoi valori fondativi. Un “sentiment” alimentato da forze politiche che remano in senso anti unitario, vaticinando di un’Europa sempre meno compatta e sempre più fondata sulla regola del “chi fa da sé fa per tre”. Esiste, quindi, il rischio concreto che, già nell’immediato futuro, vengano a mancare quella coesione istituzionale e quell’unità di intenti, senza le quali l’orizzonte dalla irrilevanza globale si farà sempre più vicino.
L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, tra dazi preannunciati e minacce di voler abbandonare gli Europei al loro destino sul piano militare – chiudendo cioè, quell’ombrello protettivo al di sotto del quale si erano comodamente adagiati da circa ottant’anni – ha indubbiamente rappresentato una sgraditissima doccia gelata sia per Bruxelles, che per tutti i singoli 27 Paesi membri dell’Unione. Tuttavia, noi siamo portati a pensare che il neo presidente – come del resto già fece durante il suo primo mandato – tenderà ad inquadrare ogni questione politica o economica, in termini strettamente commerciali, privilegiando di gran lunga i conteggi dei profitti e delle perdite , rispetto alle sottigliezze ideologiche ed agli ambiziosi obbiettivi programmatici sui quali, in Europa, si riflette (e magari ci si ammazza anche) da secoli… Pertanto, non ci meraviglieremmo affatto se il proposito di ridimensionare il peso e le funzioni della NATO, rientrasse beatamente dinanzi ad un chiaro impegno, da parte europea, ad incrementare gli acquisti di materiale bellico proprio dall’industria americana.
Comunque sia, Trump o non Trump, l’Ucraina è destinata a rimanere il più grave problema che l’Unione Europea dovrà affrontare nel 2025. Diamo, ad esempio, per scontato che, in un modo o nell’altro, le due parti in causa – entrambe stremate da una guerra imprevedibilmente infinita – decidano di sottoscrivere un “cessate il fuoco”: siamo noi Europei seriamente convinti e, comunque, tutti coesi nell’inviare quei contingenti militari indispensabili per monitorare e garantire l’inviolabilità dei confini temporaneamente scaturiti dall’eventuale sospensione del conflitto? Siamo davvero in grado di rappresentare un baluardo militare, capace di indurre Putin a più miti consigli, frenandone i sogni di ritrovata potenza imperiale? A queste domande, almeno per ora, non ci sembra che l’Europa stia fornendo risposte lucide e coerenti. Pertanto, a prescindere da cosa faranno Trump o i Cinesi, l’anno che viene sarà un momento di svolta che ci chiamerà a scelte politiche radicali e probabilmente decisive per il nostro futuro. Altrimenti, la destinazione “irrilevanza” si farà sempre più inevitabile, riducendo il Continente che più di ogni altro ha fatto la storia, al rango di terra di conquista non solo economica, ma anche militare da parte di chiunque sappia fare la voce più grossa.
Credits Foto: Freepik
24 Dicembre 2024
Scritto da: Giornale Radio
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