Il Corsivo

La piazza, la richiesta di partecipazione, il bisogno di un’altra politica

today6 Ottobre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Un desiderio di giustizia che attraversa generazioni e territori: la spinta dal basso che riempie le piazze italiane alla ricerca di una nuova forma di politica e partecipazione.

Cosa spinge centinaia di migliaia di persone, in gran parte giovani, a occupare le piazze italiane, senza sosta, da Nord a Sud? I moti popolari delle manifestazioni oceaniche di questi giorni sono accomunati essenzialmente da un desiderio di rispondere a profonde ingiustizie derivate dalle guerre, in particolare dallo sterminio pianificato del popolo palestinese da parte del governo di ultradestra di Nethanyau, dai ministri Katz, Ben Gvir, Smotrich, che hanno spinto il conflitto ben al dilà di una risposta militare all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023.

Ma, al di là del motivo scatenante, la Palestina, c’è un malessere, un malcontento generale che unisce nelle piazze strati sociali di popolazione che supera lo steccato ideologico di stampo novecentesco dello scontro destra-sinistra. Qui c’è la richiesta di partecipazione.

Una spinta che viene dal basso

Nessun partito di sinistra e centrosinistra, nessuna organizzazione sindacale, nessuna associazione, può prendersi da sola il merito di aver convogliato nelle piazze, in pochi giorni, un numero così enorme di persone. Certamente qualcuno ha intuito il sommovimento tellurico del desiderio di contarsi, ma il bisogno è andato oltre e ha determinato la spinta che viene dal basso. Certo, i partiti c’erano ma non sono più radicati nel territorio come negli anni Settanta, Ottanta.

Certo la Cgil sfiora i sei milioni di iscritti che hanno prestato una parte dell’organizzazione logistica dello sciopero, così come le sigle di base. Certo associazioni con Arci, Anpi, Emergency, Libera, Acli, costituiscono la base del volontariato. Ma, pur mettendole tutte insieme non si capirebbe l’incremento costante di una moltitudine che ha mostrato la faccia. Con ogni probabilità questa partecipazione non si tradurrà in voti, perché le distanze con le forme organizzate della politica restano siderali. Qualcosa però è accaduto, e non lo si può liquidare come uno dei tanti episodi della storia contemporanea. Qui c’è il bisogno di un’altra politica.

Il potere dell’immagine e dello stile

Non si tratta solo di contenuti politici, ma di estetica collettiva: magliette, felpe, simboli visibili, stencil improvvisati, pitture sui volti. Tutto questo crea una sorta di “uniforme spontanea”, che dà corpo ad un senso di appartenenza. Non importa se qualcuno non si definisce di destra o sinistra: quando tieni in mano un cartello fatto a mano, o applichi un adesivo, o ti trucchi in modo che il tuo volto diventi parte del segno visivo della protesta, stai contribuendo a costruire un linguaggio visivo comune. Questo stile serve non solo a identificare se stessi agli altri, ma anche a farsi riconoscere dal passante, dal vicino, dal media, rendendo visibile ciò che spesso resta invisibile nelle interlocuzioni individuali.

Musica, suoni e rituali della piazza

Un altro aspetto rilevante: il ruolo della musica, dei cori, dei suoni ambientali come strumenti che trasformano la piazza in un luogo vivo. Ad esempio, in Sardegna è nata l’iniziativa “Music against silence” in cui professionisti e dilettanti, orchestre e cori, si uniscono per suonare contro l’indifferenza, portando in repertorio brani che vanno dalla musica popolare palestinese a pezzi classici o “Bella Ciao”.In questo caso la musica non è solo sottofondo, ma presidio di presenza: è mezzo per dare intensità emotiva, per far vibrar la piazza, per unire voci diverse nel gesto concreto di essere lì insieme, non solo nella protesta ma nella creazione di un’esperienza collettiva.

L’uso creativo degli spazi urbani

Le piazze non sono solo palcoscenici di discorsi o manifesti, sono spazi che vengono riappropriati, riconfigurati. Una piazza diventa mercato improvvisato di idee, angolo di conversazione, luogo di sosta, palcoscenico per esibizioni spontanee. I partecipanti portano sedie, bottiglie d’acqua, girano con materiale di conforto, condividono momenti di pausa, incontrano amici, conoscono nuovi volti. Questo uso creativo dello spazio urbano trasforma il tessuto della città: monumenti, strade, palazzi vengono “relazionati” in modo nuovo, non come sfondo passivo, ma come parte dell’atto collettivo. Anche l’orchestra di Torino che ha manifestato cantando all’aperto ha enfatizzato questo aspetto — uscire dai confini tradizionali del teatro, portare la musica ‘in strada’ — ricollocando un’arte che spesso è elitaria nel cuore del quotidiano.

La dimensione affettiva della collettività

Infine, un curioso fenomeno è l’affetto — non nel senso romantico, ma nel senso della connessione emotiva — che nasce tra persone che altrimenti non si conoscerebbero. Nei momenti di attesa, nei cori, nelle interruzioni del corteo, nelle pause nei balconi: si scambiano sguardi, sorrisi, applausi, qualcuno offre acqua, qualcuno chiede notizie. Queste interazioni rendono la partecipazione qualcosa che va oltre l’adesione a un’idea: diventa esperienza di condivisione. E questa dimensione affettiva è ciò che spesso lascia un segno duraturo, perché costruisce memoria collettiva, genera empatia, trasforma la piazza in un ricordo fisico dei corpi, delle voci, degli odori e dei rumori — non solo delle bandiere o degli slogan.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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