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La strage dei giornalisti a Gaza e l’indignazione internazionale non fermano la guerra di Israele

today27 Agosto 2025

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Cinque reporter assassinati a Khan Younis: sale a 245 il numero dei giornalisti uccisi a Gaza, mentre la comunità internazionale resta inascoltata di fronte alla repressione della libertà di stampa.

I cinque colleghi della Reuters, Al Jazeera e Associated Press, assassinati dai soldati di Benjamin Netanyahu a Khan Younis, fanno salire a quota 245 il numero dei giornalisti che hanno perso la vita dall’inizio dell’ultimo conflitto, il 7 ottobre 2023.

Non è solo un numero buono per statistiche, ma rimane la prova provata che gli israeliani intendono impedire con ogni mezzo, anche eliminando testimoni scomodi, la diffusione di immagini, articoli e reportage, sul genocidio di civili in corso a Gaza.

Chi erano i giornalisti uccisi

Mariam Abu Dagga aveva mandato il figlio dai parenti, negli Emirati Arabi, per metterlo al riparo dalle bombe, e aveva donato un rene a un malato. È morta insieme con i colleghi Hussam Al Masri, Muaz Abu Taha, Mohammed Salama e Ahmed Abu Aziz.

Ogni reporter portava un giubbotto antiproiettile con la scritta “press”, un casco, e gli strumenti di lavoro per far circolare nel mondo la gravità della strage. Li hanno colpiti proprio nel punto in cui la rete internet aveva il segnale necessario per trasmettere le loro corrispondenze. Sono stati ammazzati con il cosiddetto double tap il doppio proiettile: il primo per far accorrere la gente e le ambulanze, il secondo per compiere la strage.

La protesta non blocca il conflitto

Protesta la Foreign press association, che da 22 mesi chiede il libero accesso alla Striscia di Gaza. Da giorni migliaia di cittadini israeliani invadono le strade e le piazze di Tel Aviv, marciano verso l’ufficio del primo ministro a Gerusalemme al grido di “Prima di tutto, prima di tutto, le vite umane prima di tutto“.

L’Unione europea sostiene che civili e giornalisti devono essere protetti dalle leggi internazionali. Ma Netanyahu se ne fa un baffo degli appelli e dei cortei, tira dritto con la sua folle e ingiustificata idea di radere al suo Gaza. Le voci della diplomazia e dei leader mondiali restano flebili e poco efficaci. Serve un’azione forte e corale: il riconoscimento dello Stato di Palestina e lo stop della vendita di armi ad Israele.

Il divieto quasi totale di accesso dei media internazionali a Gaza

Sin dall’inizio del conflitto, Israele ha imposto restrizioni drastiche all’entrata dei giornalisti stranieri nella Striscia di Gaza. L’accesso è consentito solo a pochi selezionati e sempre sotto stretto controllo delle autorità militari, spesso in modalità “embedded”, dove spostamenti, modalità di lavoro e persino contenuti pubblicabili sono rigidamente monitorati.

La Foreign Press Association ha presentato ricorsi presso la Corte Suprema israeliana, chiedendo di revocare questi divieti. Tuttavia, finora, la corte ha dato ragione alle ragioni di sicurezza avanzate dall’esercito israeliano, rifiutando di modificare la policy.

Impatti sulla libertà di stampa e sulla documentazione del conflitto

Il risultato è una profonda asimmetria informativa: la copertura del conflitto è praticamente nelle mani dei soli giornalisti palestinesi, spesso senza alcuna protezione aggiuntiva. Questa situazione riduce drasticamente la capacità della comunità internazionale di verificare in modo indipendente le operazioni militari, sollevando seri sospetti su trasparenza e responsabilità.

Organizzazioni come CPJ, RSF, IPI e il Centro Europeo per la Libertà di Stampa (ECPMF) hanno denunciato ripetutamente questa condizione come un attacco alla libertà di stampa.

L’impunità accresciuta dall’isolamento mediatico

Una conseguenza drammatica del blocco informativo è l’aumento dell’impunità: secondo il CPJ, finora nessuna indagine trasparente è stata portata avanti per chiarire le dinamiche degli attacchi ai giornalisti, né sono stati individuati responsabili.

L’assenza di testimoni indipendenti rende inoltre più complicato contestare la narrativa ufficiale israeliana, che spesso accusa i giornalisti uccisi di appartenere ad organismi ostili o nega un intento deliberato nei loro confronti.

Un vuoto informativo pericoloso di fronte alle crisi umanitarie

In un contesto come quello di Gaza, con ospedali sovraccarichi, possibile carestia e violazioni dei diritti fondamentali, la mancanza di una copertura giornalistica libera può ridurre la pressione sull’opinione pubblica e le istituzioni internazionali. La difficoltà di documentare e denunciare crimini, mentre il mondo assiste in larga parte in silenzio, rafforza un senso di impotenza e legittima ulteriormente chi opera nella clandestinità comunicativa.

Scritto da: DANIELE BIACCHESSI


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