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A cura di Ferruccio Bovio
Nella sua ultima apparizione pubblica – che ha coinciso con il funerale del leader di Hamas, Ismail Hanyeh – la Guida Suprema della repubblica iraniana, Ali Khamenei, è sembrato, ad alcuni commentatori, piuttosto agitato ed incerto nei suoi movimenti. Che temesse forse l’arrivo di un drone destinato appositamente alla sua persona? Del resto, anche all’interno del Paese che governa con ferrea determinazione dalla morte del suo predecessore Khomeyni, non sarebbero certo in pochi a stappare una bottiglia di vino buono (ammesso e non concesso che se possa, clandestinamente, trovare ancora almeno una da qualche parte) se qualche anima caritatevole si decidesse a fargli raggiungere in paradiso il mitico generale Soleimani, eliminato da Donald Trump all’inizio del 2020.
Dopo quanto avvenuto a Beirut e a Teheran – dove, nel giro di sole otto ore, si è passati da un omicidio mirato all’altro – è molto probabile che adesso i capi politici e militari delle organizzazioni che, a vario titolo, fanno rifermento alla repubblica islamica, non vivano affatto momenti di beata spensieratezza: l’ inadeguatezza dell’intelligence e della sicurezza iraniane è stata messa in evidenza in maniera troppo clamorosa per consentire a chiunque di loro di sentirsi davvero al riparo da una minaccia israeliana che, invece, ha dimostrato di poterli colpire ovunque e con chirurgica precisione.
Khamenei parla di una “dura punizione” per Israele, verso il quale ha ordinato un attacco diretto: ed è ovvio che una “punizione” – anche se sostanzialmente innocua come fu quella tentata nell’aprile scorso – dovrà assolutamente sforzarsi di infliggerla, se non vuole del tutto perdere la faccia di fronte al mondo intero. D’altra parte, al di là dei proclami ufficiali, la repubblica sciita è ben consapevole del fatto che una eventuale escalation sul campo di battaglia sarebbe, inevitabilmente, destinata all’insuccesso, vista la disparità di potenziale bellico che la separa ancora dallo Stato ebraico. Inoltre, sono anche le condizioni economiche disastrose in cui versa il Paese a sconsigliare avventure militari che andassero al di là del puro effetto dimostrativo: infatti, specialmente da quando nel 2018 l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, denunciando l’accordo sul nucleare sottoscritto nel 2015 dall’Iran con i Paesi del P5+1, impose agli ayatollah delle sanzioni finanziarie e commerciali particolarmente severe, l’Iran è caduto in una crisi profonda dalla quale non è mai più riuscito a riprendersi.
Credits Foto: Agenzia Fotogramma
Scritto da: Giornale Radio
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