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Pensioni. Sale l’età, stop a Quota 103 e Opzione donna. Nuove regole su Tfr e fondi pensione

today23 Dicembre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Il governo conferma la Fornero sulle pensioni, restringe le uscite anticipate e scarica i costi su giovani e lavoratori, tra minimi aumenti simbolici e nuove regole meno vantaggiose su Tfr e fondi pensione.

In campagna elettorale, poi dopo il loro insediamento al Governo, le forze di maggioranza avevano promesso il superamente della vecchia legge, ma l’ultima versione della riforma pensionistica, dopo lo scontro tutto interno alla Lega tra Salvini e Giorgetti, conferma invece l’impianto della Fornero, diminuisce gli spazi di uscita anticipata e interviene solo con ritocchi marginali sugli assegni più bassi.

Non ci saranno Quota 103 e Opzione donna, resta l’Ape sociale. Le pensioni minime crescono di tre euro, gli assegni sociali di dodici. Cambiano le regole per i fondi pensione, con più libertà in uscita ma meno vantaggi fiscali. Per i giovani non c’è futuro: arriva il silenzio-assenso sul Tfr senza più la possibilità di usarlo per anticipare la pensione pubblica.

La previdenza italiana resta senza una riforma complessiva

Il governo non blocca l’adeguamento automatico alla speranza di vita. Dal 2027 scatterà un mese in più sui requisiti, che diventeranno due nel 2028. La sterilizzazione promessa per mesi si riduce a una deroga molto circoscritta, riservata a una platea limitata di lavoratori già tutelati. Per tutti gli altri, l’età effettiva di uscita continua a spostarsi in avanti.

Nella sostanza, la manovra 2026 si muove verso tre direzioni: più lavoro, meno anticipo, flessibilità ridotta. La legge Fornero resta l’architrave del sistema, anzi peggiora ulteriormente perché diventa ancora più rigida. La previdenza italiana resta senza una riforma complessiva. E i nodi strutturali – giovani, carriere discontinue, lavori gravosi, differenze di genere – restano aperti.

Ruolo del Trattamento di Fine Rapporto (TFR), Pensioni

In Italia il TFR è una sorta di “risparmio forzoso”: è una quota di retribuzione maturata ogni anno e accantonata dal datore di lavoro, che viene corrisposta al lavoratore al termine del rapporto di lavoro, sia per pensionamento sia per altri motivi (dimissioni, licenziamento). Questa somma rappresenta un’importante forma di accumulo che, storicamente, ha fornito liquidità ai lavoratori al momento della cessazione del rapporto di lavoro e ha avuto un ruolo nel finanziamento delle imprese stesse e del sistema previdenziale pubblico.

Con la riforma del 2005 (decreto legislativo n. 252/2005) era stata prevista già allora la possibilità di destinare il TFR maturando a una forma di previdenza complementare, ossia a fondi pensione negoziali o aperti, anziché lasciarlo all’azienda o al Fondo di Tesoreria INPS. In quel sistema, se il lavoratore non esprimeva una scelta entro sei mesi dall’assunzione, il TFR veniva automaticamente versato in un fondo pensione attraverso il cosiddetto meccanismo di silenzio-assenso.

La novità introdotta o rafforzata con la recente manovra riguarda proprio questo meccanismo, estendendolo e rendendolo operativo dal 1° gennaio 2026 per i neoassunti nel settore privato: se il lavoratore non sceglie esplicitamente dove destinare il proprio TFR, esso confluirà automaticamente nel fondo pensione “competente” sulla base del contratto collettivo applicato, con l’obbligo dell’azienda di attivare il versamento.

Questo cambiamento ha pro e contro significativi. Dal punto di vista positivo, il silenzio-assenso potrebbe aumentare la partecipazione dei lavoratori ai fondi pensione complementari, che finora è relativamente bassa, soprattutto tra giovani e donne, categorie che spesso non fanno proposte attive né hanno sufficiente informazione (secondo dati recenti, oltre il 60 % degli italiani non aderisce a una pensione complementare, e tra i giovani il tasso è ancora più basso). Partecipare a un fondo pensione significa accumulare un “secondo pilastro” di risorse, oltre alla pensione pubblica, che può tradursi in rendite aggiuntive una volta raggiunta l’età pensionabile.

Tuttavia, ci sono criticità importanti. Il trasferimento automatico del TFR non garantisce che il lavoratore venga iscritto a un fondo con costi di gestione bassi o con profili di investimento adeguati alle sue esigenze, e la scelta può diventare irreversibile senza possibilità di trasferire successivamente il montante accumulato. Inoltre, parte dell’intento della riforma è anche quello di alleggerire la pressione sul bilancio pubblico e incentivare il risparmio privato, ma alcuni analisti evidenziano che senza una forte campagna informativa e di educazione finanziaria i lavoratori rischiano di non comprendere le implicazioni di lungo periodo di questa scelta automatica, portando a risultati potenzialmente inferiori alle attese.

Infine, la redistribuzione del TFR ha anche un effetto di sostenibilità per il sistema pensionistico italiano nel suo complesso, perché spinge i lavoratori ad affidarsi non solo alla prima fascia di previdenza (pubblica e contributiva), ma anche alla seconda (complementare), elemento ritenuto necessario per fronteggiare l’invecchiamento demografico e la pressione finanziaria sulle casse dello Stato.

Questo spostamento di paradigma, dal considerare il TFR un elemento residuale da liquidare alla fine del lavoro a un mattoncino costitutivo della pensione futura, rappresenta, dunque, uno degli aspetti più rilevanti e meno dibattuti della riforma previdenziale, con impatti concreti soprattutto per le nuove generazioni di lavoratori.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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