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A cura di Ferruccio Bovio
Nella settimana che ci lasciamo alle spalle, qualcuno ha voluto ricordare quel 5 dicembre del 1994 in cui, esattamente trent’anni fa, veniva sottoscritto dai massimi rappresentanti di Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Francia e – ironia della sorte – Russia, il cosiddetto “Memorandum di Budapest”: l’accordo diplomatico con il quale i suddetti Paesi si impegnavano a garantire l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina, in cambio della cessione al Cremlino, da parte di quest’ultima, delle circa duemila testate nucleari strategiche (e delle altre tremila tattiche) rimaste in suo possesso dopo la fine dell’Unione Sovietica.
Si, perché – anche se adesso la cosa può sembrare quasi incredibile – il Paese che attualmente, ogni giorno, per difendersi è costretto ad elemosinare aiuti militari da Londra a Washington, in realtà – se a Budapest non si fosse lasciato ammaliare da promesse pronunciate, evidentemente, con un eccesso di faciloneria – oggi sarebbe ancora la terza potenza nucleare del mondo…E certo – almeno pensiamo noi – prima di intraprendere “operazioni militari speciali” nei suoi confronti per “denazificarne” la classe politica, Vladimir Putin ci avrebbe pensato ben più di una volta…
Non c’è che dire, dalla storia dobbiamo aver imparato davvero pochino se ci stupiamo nell’osservare un Paese nazista e guerrafondaio che rinuncia spontaneamente alla possibilità di minacciare o di aggredire popoli vicini o lontani facendo uso delle sue terribili armi atomiche…
Comunque, a motivare anche i Paesi occidentali verso la definizione di un accordo come quello di Budapest, contribuì sicuramente il timore – a quei tempi abbastanza diffuso – che dal frazionamento dell’arsenale nucleare sovietico potessero nascere conflitti e situazioni politicamente ingestibili, qualora parti di esso fossero finite a disposizione di Stati disinteressati al mantenimento della pace mondiale.
E forse, l’ingenuità, dimostrata in quei frangenti dai governi occidentali, può in qualche modo trovare una sorta di giustificazione pure nel fatto che il loro interlocutore moscovita allora si chiamava Boris Eltsin ed era un politico molto diverso da quello che c’è, invece, oggi.
Per parte sua, Putin, da ormai una decina d’anni, al fine di giustificare le sue mire espansionistiche verso ovest, sostiene che l’Ucraina di oggi nulla abbia a che vedere con quella di trent’anni fa, essendo, al contrario, uno Stato nuovo e diverso e con il quale la Russia non ha mai firmato alcun documento vincolante.
Insomma, considerato come sono andate e come stanno tuttora andando le cose, c’è forse da stupirsi se
Zelensky continua a chiedere garanzie più credibili sul fatto che, in futuro, a nessuno verrà nuovamente in mente di invadere il suo Paese?
Il 4 marzo dello stesso anno il presidente russo Vladimir Putinspiega che quella che all’epoca sta avvenendo a Kiev è una sorta di rivoluzione, tale per cui l’Ucraina del 2014 non è lo stesso Stato con cui la Russia aveva firmato il Memorandum 20 anni prima: “Un nuovo Stato sorge, ma con questo Stato e nei suoi confronti noi non abbiamo firmato alcun documento vincolante”.
Credits Foto: Agenzia Fotogramma
08 Dicembre 2024
Scritto da: Giornale Radio
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