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A cura di Ferruccio Bovio
I primi cento giorni di Donald Trump non saranno magari stati così catastrofici, come lo furono, invece, quelli che segnarono la fine dell’epopea napoleonica: tuttavia, possiamo immaginare che un minimo di contrariata delusione stia vagando, in queste ore, per le stanze della Casa Bianca.
Gli indici di gradimento sono, infatti, i più bassi tra quelli registrati da un presidente nel suo trimestre iniziale, col il solo 45% degli elettori intervistati che continua ad approvare l’operato del Tycoon: e si tratta di una percentuale sensibilmente inferiore a quelle di cui avevano goduto sia Obama, che Biden. A incrinare un rapporto di fiducia che sembrava destinato a durare un pochino più a lungo, può senz’altro aver contribuito anche la frenesia dalla quale The Donald si è lasciato trascinare, emettendo, da gennaio ad oggi, ben 139 ordini esecutivi che, al di là della smania di voler dimostrare chissà quale dose di efficientismo, in realtà hanno sovente finito per finire nelle sabbie mobili dei conflitti tra i poteri dello Stato. E stiamo parlando di uno Stato che, tra l’altro, si sta rivelando niente affatto rassegnato dinanzi alla prospettiva di dover sottostare alle regole imposte dal pressapochismo e dall’ improvvisazione. Sono così fioriti, come le margherite a primavera, i ricorsi che molte corti giudiziarie hanno presentato contro i provvedimenti unilaterali del presidente: magari nell’illusoria speranza di indurlo a dare un’occhiatina al vecchio e basilare “Spirito delle Leggi” di Montesquieu.
Tuttavia, presso l’elettorato americano, a determinare i cambiamenti di opinione più repentini, in genere è soprattutto l’andamento dell’economia. Ed a questo proposito, non c’è dubbio sul fatto che, in questi primi tre mesi di Amministrazione Trump, della tanto preannunciata “età dell’oro” non si sia vista neanche l’ombra… Una confusa strategia sulla politica commerciale ha, infatti, ottenuto il solo effetto di alimentare l’incertezza sui mercati finanziari internazionali (compresa Wall Street), facendo bruciare decine di miliardi di dollari ed allarmando gli investitori pubblici e privati circa la tenuta e l’affidabilità dei buoni del tesoro di Washington. Di conseguenza a calare sono state sia la fiducia delle imprese, che le prospettive di crescita del Pil Usa le quali, non a caso, per il 2025 sono scese all’1,8%, rispetto al +2,7% stimato alla fine del 2024. Che dire poi se, dall’imposizione dei nuovi dazi, dovesse derivare – come è assai probabile che succeda – anche una ripresa inflattiva?
Ma se sulla politica economica trumpiana è, forse, meglio stendere un velo pietoso, non troppo esaltanti sono pure i risultati ottenuti a livello di quella estera, dove le tante e roboanti promesse avanzate in campagna elettorale, alla prova dei fatti si sono in realtà convertite in problemi molto più complessi e delicati di quanto potesse immaginare chi, professionalmente, era più che altro abituato a condurre trattative di compravendita immobiliare.
Le famose “24 ore” riguardanti l’Ucraina sono ormai passate da qualche minuto, senza che però droni e missili abbiano cessato di fare stragi; il progetto di fare della Striscia di Gaza una sorta di Costa Azzurra mediorientale sembra essere – per fortuna – finito nel dimenticatoio (unitamente a quel ridicolo video che lo aveva presentato) ed il Canada, votando per il liberale Mark Carney, pare non avere nessuna voglia di diventare la 51esima stelletta della “Stars and Stripes”.
Tutta questa confusione generata dal metodo di governo approssimativo adottato dall’attuale Casa Bianca, non può, quindi, che minare la credibilità stessa degli Stati Uniti, indebolendoli soprattutto dinanzi alla Cina, la quale, essendo retta da un governo che non deve rendere conto dei suoi risultati immediati ad alcuna opinione pubblica (e tanto meno ad alcun elettorato), molto meglio di qualsiasi democrazia occidentale sarà sempre in grado di elaborare ed imporre strategie – magari anche lunghe e dolorose – alla sua popolazione. E francamente, l’idea trumpiana di sfidare Pechino sul terreno dei dazi, proprio mentre sta rinnegando (e talvolta insultando) le più antiche e consolidate alleanze occidentali, a noi sembra veramente una scelta irresponsabile.
Credits della Foto: Flickr (CC BY-SA 2.0)
4 Maggio 2025
Scritto da: Giornale Radio
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