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A cura di Ferruccio Bovio
La vicenda di Giovanni Toti ci induce a fare un paio di considerazioni.
La prima è quella che è veramente da ingenui pensare che la politica sia un qualche cosa che potrebbe beatamente vivere d’aria e non richieda, invece, da parte dei partiti o anche dei singoli attivisti, un certo impegno per sostenerne i costi. Anche senza strafare e limitando le esigenze di cassa agli elementi più indispensabili, è chiaro che gli affitti delle sedi, gli spostamenti per le campagne elettorali o la stampa di volantini e manifesti qualcuno dovrà ben pagarli… Ecco perché, in Italia, fino a non troppi anni fa, vigeva ancora il sistema del finanziamento pubblico dei partiti, la cui abolizione – avvenuta sull’onda di un moralismo piuttosto velleitario – non ha certo eliminato il bisogno di fondi che, inevitabilmente, caratterizza ogni struttura che voglia darsi un minimo di operatività. In sostanza, osservando quanto sta capitando oggi in Liguria (ma anche altrove),se fossimo stati tra quelli che, a suo tempo, si accanirono contro l’ assegnazione di fondi statali alle forze politiche più rappresentative, oggi, molto probabilmente, ci sentiremmo in dovere di recitare un sincero “mea culpa”, riconoscendo l’errore commesso in passato. Dubitiamo però, di poter assistere, a breve, a revisioni o a pentimenti in merito a questi problemi: naviga, infatti, in acque molto più tranquille chi si astiene dall’avventurarsi in mari che il qualunquismo giustizialista degli ultimi decenni ha lasciato ancora molto agitati…
Tuttavia – e qui veniamo alla seconda considerazione – in mancanza di un finanziamento pubblico della politica, quale alternativa esiste per garantire, comunque, lo svolgimento di una normale vita democratica? Noi, sinceramente, non vediamo altra via
d’uscita al di fuori del sostegno finanziario da parte dei privati. Tertium non datur…Già, ma perché mai un privato dovrebbe finanziare un partito o un leader politico in particolare? Forse perché – e non è da escludere a priori – ne condivide ideali e programmi o forse perché, molto più pragmaticamente, si aspetta di poterne trarre dei vantaggi personali. D’altra parte, in America le cose funzionano così e nessun candidato alle presidenziali si sognerebbe mai di occultare l’origine dei mezzi che gli sono stati messi a disposizione per la sua campagna elettorale. In fondo, il conferimento di denaro a favore di un determinato partito, quando avviene alla luce del sole, diventa anche uno strumento utile per facilitare l’orientamento di chi deve esprimere il proprio voto. Se a pagare alberghi, aerei e spot televisivi per un certo candidato sono la Esso e la Shell, l’elettore che sogna un mondo molto più green saprà come meglio regolarsi di conseguenza, indirizzando magari il suo consenso verso chi è sostenuto da altre lobbies meno “inquinanti”… Certo, il sano presupposto di questo meccanismo di natura esclusivamente privatistica, risiede nel fatto che ogni contributo economico venga fornito in base a ben definiti criteri di trasparenza. Altrimenti, diventa inevitabile l’intervento della magistratura: soprattutto se dovessero affiorare casi in cui i “favori” promessi e successivamente dispensati dalla politica risultassero in contrasto con una qualunque disposizione di legge. Fatte salve però queste eventuali eccezioni, non ci pare affatto che possa considerarsi automaticamente illecito ogni finanziamento privato a politici e partiti. A meno che non si voglia cogliere un intento criminoso in ogni contatto che avvenga tra mondo della politica e mondo dell’impresa…
Credits Foto: Davide Papalini CC BY-SA 3.0 DEED
12 Maggio 2024
Scritto da: Giornale Radio
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