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A cura di Ferruccio Bovio
La propaganda del regime iraniano, per un paio di giorni, deve aver tanto sperato di poter attribuire ad Israele la responsabilità del terribile attentato terroristico che ha causato quasi cento morti tra la folla che si era radunata sulla tomba del generale Qassem Soleimani, per celebrare il quarto anniversario della sua uccisione, avvenuta il 3 gennaio 2020, a seguito di un attacco mirato portato a termine da un missile americano. Naturalmente, nei palazzi del potere di Teheran, chiunque capisca qualcosa di politica ed abbia un minimo di dimestichezza con la storia degli ultimi anni, sapeva benissimo che la strage di Kerman aveva una matrice decisamente estranea rispetto a quello che, solitamente, è il modo di agire dei servizi segreti israeliani, i quali tendono, per prassi, a privilegiare sempre le esecuzioni mirate. Non si ha, infatti, notizia che abbiano mai fatto esplodere bombe in luoghi affollati, se non nel lontano 1946, allorché il gruppo paramilitare ebraico “Irgun” fece saltare in aria l’hotel King David di Gerusalemme, che ospitava il quartier generale britannico, durante il periodo del Mandato per la Palestina.
A nulla è, pertanto, servito che alcuni giornali vicini al potere sciita siano arrivati in edicola con titoli – in certi casi stampati addirittura in ebraico – che preannunciavano una feroce vendetta contro il nemico sionista, poiché la rivendicazione ufficiale di tutto quanto era successo veramente, è puntualmente giunta da un comunicato dell’ISIS che, mostrando le foto dei due fanatici sunniti autori della strage, invitava le masse islamiche a colpire gli ebrei – ovunque essi si trovino – e tutti i nemici comuni dell’Islam. Nemici che – si badi bene – non sono solamente Stati Uniti, Europa ed Israele, ma comprendono pure l’universo sciita di Iran e Hezbollah. E non a caso, il comunicato di rivendicazione prosegue precisando che quella del Califfato islamico “non è una guerra per il territorio o di frontiera, ma è una guerra di religione”. Una guerra che – ci pare di capire – non fa, dunque, alcuna distinzione tra i mali assoluti da combattere: siano questi rappresentati da cristiani, da ebrei o da musulmani scomunicati perché portatori di una “empietà massima”, per la quale è prevista la pena di morte.
Viene, comunque, spontaneo domandarsi per quale ragione l’ISIS abbia deciso di colpire proprio in prossimità della tomba di Soleimani. Proviamo allora a darci una risposta, andando a ricordare come il generale iraniano – in qualità di comandante delle Guardie della Rivoluzione – si fosse, a suo tempo, distinto per l’efficace azione di coordinamento delle milizie sciite irachene che, pur macchiandosi di crimini orrendi nei confronti della popolazione sunnita locale, combatterono accanitamente lo Stato islamico, contribuendo, in modo significativo, alla sua sconfitta. Soleimani non è stato, quindi, soltanto l’uomo che l’Occidente ha sempre individuato come il principale burattinaio di tante violenze perpetrate dall’Iran, ma è stato pure lo stratega militare di un raggruppamento sciita che, per tre anni, ha combattuto l’ISIS, dando vita, di fatto, ad una oggettiva – per quanto politicamente impresentabile – alleanza sul campo con una coalizione di altre forze irachene guidate – guarda caso – proprio dai “satanici” Stati Uniti… E stiamo semplicemente parlando di uno dei tanti casi in cui, a condizionare le politiche mediorientali, sono state (e continueranno ad essere) anche le più inconfessabili convergenze di interessi.
07 Gennaio 2024
Credits: Agenzia Fotogramma
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Scritto da: Giornale Radio
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