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A cura di Ferruccio Bovio
Negli ultimi giorni, abbiamo assistito, soprattutto nel mondo della cultura e delle Università italiane, al crescere quasi inarrestabile di un furore anti israeliano che, non potendo ancora (per il momento) cancellare dalla carta geografica lo Stato ebraico, fa, comunque, del suo meglio per cancellare almeno gli accordi di collaborazione reciproca che sono in essere tra le nostre istituzioni universitarie e quelle israeliane. Il caso più recente e clamoroso è stato quello di Torino, dove il Senato Accademico, subendo la pressione (o forse addirittura l’intimidazione) dei soliti collettivi studenteschi terzomondisti, ha votato quasi all’unanimità la sospensione del bando di ricerca in collaborazione con Israele. Eppure, si trattava di questioni inerenti settori agricoli e tecnologici e niente affatto di natura bellica…Tuttavia, non c’è stato nulla da fare, perchè di fronte a quella che, in fondo, è essenzialmente una minoranza minacciosa, i docenti torinesi – volenti o nolenti – hanno abbassato il capo, riconoscendo così dignità politica e culturale a chi è pregiudizialmente portato a vedere tutto il bene nella sola Gaza – governata, fino a ieri, da un gruppo di signori abituati a discutere di politica solamente con il mitra in mano – ed a cogliere, invece, tutto il male in un Paese in cui – nonostante l’indiscutibile punto interrogativo sull’affidabilità democratica di alcuni dei suoi attuali ministri – si tengono pur sempre ancora libere elezioni (cui partecipano inoltre, senza alcuna restrizione, anche partiti arabi). Un Paese in cui si possono professare tutte le religioni e tutte le filosofie del mondo senza mettere in gioco la propria vita ed in cui, alla faccia di tante ingiustificate accuse di apartheid, cittadini israeliani palestinesi e musulmani raggiungono, tranquillamente, i vertici delle più importanti istituzioni nazionali come, ad esempio, la magistratura e, appunto, l’università.
Nelle nostre aule universitarie si respira, dunque, un’aria di censura aprioristica nei riguardi di tutto ciò che proviene da Israele e dalla sua cultura. Cultura che, tra l’altro, si compone anche di voci che sono spesso in assoluto contrasto proprio con le politiche portate avanti dal governo Netanyahu…
Non esiste, quindi, a nostro parere, un motivo politico veramente valido, che impedisca alle università italiane di rimanere aperte al dialogo con le realtà accademiche di una Nazione che, oltre tutto, in determinati campi ha pure raggiunto livelli di assoluta eccellenza. Perchè, dunque, interrompere scambi di esperienze in settori in cui, specialmente sul piano tecnologico ed industriale, l’Italia avrebbe tutto da guadagnare? Forse perché Israele, secondo certi fini politologi nostrani, sarebbe uno stato canaglia da lasciar cuocere nell’isolamento più totale?
Certo, è difficile spiegare, se non ricorrendo alle ataviche (ma tuttora ben vitali) pulsioni antisemite che albergano in larghi strati delle nostre società europee, il motivo per cui si cancellino, senza indugio, le collaborazioni con le istituzioni israeliane, ma ci si guardi bene dal mettere in discussione quelle che magari sono in vigore con gli atenei di Paesi in cui una ragazza può morire soltanto perché non indossa correttamente il velo… Ma forse, a ben riflettere, siamo noi ad essere condizionati da pregiudizi che ci impediscono di vedere le cose con lucida obbiettività: se è vero come è vero che, tanto per fare un esempio, è la Repubblica islamica dell’Iran a presiedere la presidenza del Forum Sociale del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite...
Credits Foto: Università di Torino
24 Marzo 2024
Scritto da: Giornale Radio
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