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Israele lancia una nuova offensiva nella Striscia di Gaza. Tanks colpiscono le tende degli sfollati

today22 Luglio 2025

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Israele intensifica le operazioni su Gaza: nuovi attacchi contro i civili e un piano per il controllo esteso della Striscia in caso di fallimento dei negoziati.

Non accenna a diminuire la pressione militare di Israele nella Striscia di Gaza. Anzi viene alimentata da una nuova offensiva di terra e aria. Nella notte, sfollati palestinesi sono stati sorpresi nel sonno da colpi esplosi da carri armati israeliani che hanno aperto il fuoco contro le loro tende nel ‘Beach Camp’, a ovest di Gaza City. Il bilancio pende tutto sulla popolazione civile con morti e feriti.

Ieri a Deir-al-Balah, nella zona centrale, i carri armati e i veicoli militari israeliani hanno fatto irruzione in città dal posto di blocco di Kisufim sotto la copertura aerea e di artiglieria pesante. Decine di granate hanno colpito i quartieri di Abu al-‘Ajin e Hikr al-Jami, mentre le forze di terra erano in fase di avanzamento. L’operazione è iniziata poche ore dopo che l’esercito israeliano aveva diramato avvisi di evacuazione ai residenti di sei isolati residenziali nella parte sud-occidentale della città. Deir al-Balah è attualmente piena di migliaia di sfollati provenienti da Rafah e Khan Younis.

Il nuovo piano di Israele

Eyal Zamir, capo di stato maggiore israeliano, ha messo a punto un piano per intensificare ulteriormente le operazioni contro Hamas. Si tratta del “piano per prendere il controllo di Gaza”, che sarebbe un’alternativa alla controversa “città umanitaria” di Rafah promossa dal primo ministro Benjamin Netanyahu, a cui Zamir si oppone.

Il piano sarà attuato se i colloqui per il rilascio degli ostaggi dovessero fallire o nel caso di una tregua, se non venisse raggiunto una intesa per porre fine alla guerra dopo il cessate il fuoco di 60 giorni. La proposta prevede che l’Esercito prenda e mantenga nella Striscia di Gaza molto più territorio di quello che detiene attualmente.

Dalla Nakba ai campi di oggi

La Striscia di Gaza porta con sé, nelle sue tende e nei suoi campi sovraffollati, una eredità di spostamenti che risale ai primi anni del conflitto israelo-palestinese. Nel 1948, circa 750.000 palestinesi furono espulsi o costretti a fuggire, evento noto come Nakba. Gaza, con una popolazione originale di circa 80.000, ne accolse oltre 200.000 nei mesi successivi, arrivando quindi a triplicarsi in dimensioni demografiche. Oggi, decenni dopo, questi rifugiati e i loro discendenti vivono principalmente nei campi profughi come Deir al‑Balah, Nisirat, Bureij e Jabalia.

Il campo di Deir al‑Balah si estende per soli 160 mila m², ma già nel 2017 ospitava circa 7.000 persone in strutture solide come edifici e scuole; nel 2023, il numero di registrati UNRWA è salito a 26.674. Negli ultimi mesi, questa zona ha visto una massiccia affluenza: a centinaia di migliaia di sfollati provenienti da Rafah, Khan Younis e Gaza City si sono aggiunti a quelli già presenti, aumentando il rischio di sovraffollamento e una crisi umanitaria di proporzioni immane.

Quotidianità in un territorio “in transito”

Secondo l’IDMC, a fine 2023 circa 1,7 milioni di palestinesi erano sfollati all’interno di Gaza. L’UN afferma che quasi il 90 % della popolazione è stata sfrattata almeno una volta, spesso più di nove volte. Questo flusso continuo di persone – sospinte da bombardamenti, blocchi o evacuazioni – impedisce l’instaurazione di un’emergenza stabile: si costruiscono tende o riparazioni precarie sugli stessi terreni distrutti, mentre infrastrutture, scuole e ospedali si degradano e diventano inadeguati.

I campi di rifugiati in Gaza non sono soltanto luoghi di emergenza. A partire dal 1948, sono stati centri di organizzazione politica, educazione, e resistenza civica. Ma oggi, più dei suoi contorni sociali e politici, pesa il fatto che questi insediamenti rappresentino un simbolo vivente del diritto al ritorno, un diritto sancito dalle convenzioni internazionali sin dal 1948. Il massiccio sovraffollamento nei campi e nelle aree urbane centrali come Deir al‑Balah rende la consegna di aiuti estremamente complessa: le zone designabili come “sicure” sono ormai ridotte a poco più del 12 % del territorio, mentre il resto è sotto pressione militare o evacuazione.

Scritto da: DANIELE BIACCHESSI


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