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Tre fratelli fanno esplodere un casolare durante uno sfratto esecutivo: morti e feriti tra le forze dell’ordine

today15 Ottobre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

L’esplosione durante uno sfratto a Castel d’Azzano devasta un casolare: tre carabinieri uccisi, numerosi feriti tra forze dell’ordine e soccorritori.

Una tranquilla strada di campagna, a Castel d’Azzano, nel veronese, si è trasformata nella scena di strage. Tre carabinieri sono morti in un’esplosione e altri undici sono rimasti feriti, insieme a quattro agenti della polizia. E altri sette vigili del fuoco sono stati accompagnati in ospedale per accertamenti. Un casolare era saturo di gas, e quando le forze speciali sono entrate è saltato in aria. Le testimonianze dei vicini raccontano di aver sentito un boato “peggio di un terremoto”. Poi sirene, grida per la strada, gli agenti che chiedevano acqua per gli intossicati. 

Un piano disperato

Il piano contro le forze dell’ordine è stato ideato da tre fratelli, tutti agricoltori: Franco Ramponi, 65 anni, Dino, 63 anni e Maria Luisa, 59 anni. Erano sotto sfratto, la loro casa era andata all’asta con un ipoteca. Alcuni mesi fa era avvenuto il primo tentativo di sgombero. I fratelli erano saliti sul tetto, avevano minacciato di buttarsi giù e si erano cosparsi di benzina. Poi tutto è rientrato fino al secondo tentativo dei carabinieri e della polizia. Stavolta la donna si sarebbe chiusa al piano di sopra, dove l’aria era già satura di gas e quando ha sentito entrare le forze speciali avrebbe innescato l’esplosione.

Le inchieste della magistratura

Il procuratore capo di Verona, Raffaele Tito, procede con il reati di omicidio premeditato e sta valutando anche la strage. “Avevo delegato la perquisizione alla ricerca di bottiglie molotov perché, grazie ai carabinieri, avevamo delle foto dalle quali si vedevano queste molotov sul tetto. Solo qualche giorno fa, alla fine del mese di settembre, i tre avevano minacciato il custode giudiziario che era stato delegato alla vendita dell’immobile dal giudice civile e uno di loro ha detto che si sarebbe fatto esplodere”, ha spiegato il magistrato.

Le cause dello sfratto

I fratelli Ramponi — Franco (65 anni), Dino (63 anni) e Maria Luisa (59 anni) — vivevano in una condizione di crescente degrado materiale e sociale che sembra aver alimentato il disagio, la rabbia e la disperazione che hanno portato agli eventi tragici di Castel d’Azzano. Agricoltori e allevatori per generazioni, avevano ereditato dalla famiglia non soltanto il casolare rurale dalle pareti antiche, ma anche un’attività agricola legata al latte, alla stalla, ai campi. Però negli ultimi anni la tenuta economica era diventata instabile: debiti crescenti, ipoteche gravanti sui terreni, difficoltà nei pagamenti e nella gestione dell’azienda.

Il nodo principale risale al mutuo stipulato nel 2014, che prevedeva un’imponente ipoteca su case e campi dei Ramponi. Secondo i fratelli, quel mutuo non era mai stato firmato, o almeno non da tutti gli intestatari — sostengono che alcune firme fossero contraffatte. La procedura giuridica non ha dato retta a queste contestazioni nel modo che loro auspicavano: il tribunale ha ritenuto validi il mutuo e l’ipoteca, così da avviare le pratiche esecutive per pignoramento e sfratto.

Col passare del tempo la situazione abitativa è diventata disperata. I vicini raccontano che l’abitazione era priva di luce elettrica, senza gas, priva forse anche di acqua corrente; vivevano “come in una grotta” — un’immagine forte, che restituisce non solo la mancanza di servizi, ma la sensazione di isolamento fisico e sociale. I fratelli erano percepiti come ritirati, schivi, con poca frequentazione esterna, legati fortemente alla loro casa e alla terra. La perdita dei genitori era avvenuta alcuni anni prima, e con essa probabilmente anche una protezione emotiva, finanziaria e sociale.

Una tensione prolungata

Questa storia del mutuo contestato, dei debiti, del progressivo pignoramento della proprietà, ha creato una tensione prolungata. Ogni tentativo legale di mediazione o qualche segnale esterno sembrava essere fallito o rallentato. I Ramponi si sentivano defraudati, vittime di una giustizia che non li capiva, incompresi anche dalla comunità locale che, pur sapendo del loro stato, non era riuscita a intervenire con soluzioni alternative.

Il casolare stesso — vecchio due piani, con stalle annesse, case rurali con corridoi e depositi — era un immobile rurale decadente, carico di attrezzi agricoli, forse ormai in molti tratti non abitabile nelle condizioni normali: “disastrosa” è la parola usata da un vicino. Verso l’ultimo periodo, i residui servizi erano sospesi, tanto che la casa non aveva gas, non aveva elettricità, probabilmente condizioni di vita molto dure.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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