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Trump deluso da Putin

today19 Settembre 2025

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Scritto da Daniele Biacchessi

Trump critica Putin e chiede una svolta sul conflitto in Ucraina, mentre l’Ue prepara il diciannovesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca.

Donald Trump ha detto di non considerare un errore l’invito di Vladimir Putin in Alaska, dopo aver dichiarato di essere rimasto molto deluso. “Sta uccidendo molte persone e ne sta perdendo più di quante ne stia uccidendo, francamente i soldati russi vengono uccisi a un ritmo più alto dei soldati ucraini”, ha affermato Trump.

“Sono milioni le persone che sono morte in quella guerra, milioni di anime, e non sono soldati americani. I soldati vengono uccisi a livelli che nessuno ha visto dalla Seconda Guerra Mondiale. Sento di avere l’obbligo di risolvere la situazione per questo motivo“, ha aggiunto Trump.”Se il prezzo del petrolio scende, Putin dovrà mollare, non avrà scelta e dovrà abbandonare la guerra”, ha detto il presidente statunitense, ribadendo il suo disappunto verso i Paesi europei che continuano ad acquistare petrolio dalla Russia. Trump ha parlato in una conferenza stampa a fianco al premier britannico Keir Starmer.

Da oggi nuove sanzioni contro la Russia

E’ atteso per oggi il nuovo pacchetto di sanzioni, il diciannovesimo, dell’Unione europea nei confronti della Russia nel contesto dell’invasione dell’Ucraina. Lo si apprende da fonti diplomatiche europee. La presidenza danese ha convocato alle 12.30 una riunione degli ambasciatori degli Stati membri dell’Ue, con l’aggressione russa dell’Ucraina come unico punto all’ordine del giorno.

Intanto il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la riduzione dei tassi di crescita del Pil in Russia sarebbe un’azione mirata. “Per quanto riguarda il calo della crescita del Pil sotto il 4%, non si tratta di un calo. Si tratta di una riduzione dei tassi di crescita in cambio del contenimento dell’inflazione e del mantenimento della stabilità macroeconomica”, ha dichiarato Putin.

Verso un’economia meno vincolata al petrolio: la strategia russa

Da quanto emerge nelle ultime analisi, Mosca ha avviato una serie di politiche economiche per mitigare il rischio che il prezzo del petrolio diventi la variabile che determina tutto — non solo le entrate statali, ma anche la stabilità macroeconomica e la capacità di sostenere spese militari e sociali.

Due misure in particolare spiccano:

  1. Modifica della “regola di bilancio” (budget rule)
    È stato annunciato che il prezzo minimo del petrolio al di sotto del quale le entrate extra vengono destinate al fondo di riserva statale sarà ridotto ogni anno: attualmente la soglia è fissata a 60 dollari al barile, e scenderà gradualmente fino a 55 dollari entro il 2030. Questa soglia funge da spartiacque: quando il petrolio va meglio del previsto, l’eccedenza aiuta a finanziare il fondo di riserva; se il prezzo è sotto soglia, meno dipendenza da entrate “strapiene”.

  2. Riduzione del peso percentuale delle entrate petrolifere sul bilancio federale
    È in corso uno sforzo per abbassare la quota del budget che dipende da petrolio e gas: nel 2025 si stimava che queste materie prime rappresentassero circa un quarto del budget statale, e l’obiettivo è ridurre ulteriormente questa percentuale.

Casi di successo

La Norvegia ha costruito fin dall’inizio un patrimonio pubblico (il celebre Stato-wealth fund, il Government Pension Fund Global) che deposita parte delle entrate petrolifere per le generazioni future, evitando di spendere tutto durante i boom.Ha investito pesantemente in fonti rinnovabili interne (soprattutto idroelettrico), elettrificazione, innovazioni tecnologiche, e ha mantenuto alti standard di trasparenza e buona governance.

Anche se il settore petrolifero pesa ancora (nelle esportazioni, nelle entrate governative), la Norvegia si è data un orizzonte chiaro per “uscire” gradualmente dalla dipendenza — diversificando il tessuto produttivo, promuovendo industria, servizi, manifattura avanzata, ricerca. Anche in Norvegia, il petrolio/gas rimane importante, soprattutto per le entrate dello Stato. La transizione non è immediata. Bisogna bilanciare le aspettative sociali: quando le entrate petrolifere calano, cresce la pressione su spese sociali, su welfare, su investimenti pubblici. Le politiche devono essere credibili, ben comunicate, e mantenere il consenso.

2GCC (Gulf Cooperation Council: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, ecc.)

Hanno lanciato piani strategici (es. “Vision 2030” in Arabia Saudita) per diversificare l’economia, investire in turismo, finanza, industrie non-oil, tecnologia, logistica. Si è verificata una crescita del settore non petrolifero, migliori infrastrutture, progetti di città “intelligenti”, diversificazione degli sbocchi di esportazione.

Tra le difficoltà rientrano le istituzioni deboli su alcuni aspetti strutturali, forte dipendenza da entrate petrolifere nonostante i tentativi; la volatilità del prezzo del petrolio rimane un rischio sistemico. Oltre a costi altissimi per infrastrutture, competenze, e spesso bisogna importare know-how e tecnologia. Le transizioni sono lente e richiedono continuità politica.

Casi di fallimento o difficoltà gravi

È probabilmente l’esempio più netto di cosa succede quando uno Stato rimane fortemente dipendente dal petrolio senza diversificazione efficace. Produzione in declino, dipendenza quasi totale dall’export petrolifero (e delle sue entrate in valuta estera), scarsa reinvestimento in altre attività produttive come agricoltura, manifattura, turismo.

Crollo produttivo dovuto a mancanza di investimenti, gestione inefficiente, corruzione. Il settore petrolifero si è degradato perché non si mantenevano le infrastrutture, non si sviluppava tecnologia, non si attiravano investimenti esterni in modo strutturato. Conseguenze: inflazione galoppante, valuta instabile, collasso dei servizi pubblici, grave calo degli standard di vita. Ė diventato un caso in cui la “maledizione delle risorse” (resource curse) si materializza.

Scritto da: Daniele Biacchessi


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