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A cura di Ferruccio Bovio
Oggi, come ogni 2 dicembre che si rispetti a partire da 75 anni a questa parte, si celebra la Giornata Mondiale per l’Abolizione della Schiavitù, istituita appunto nel 1949 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Quando si parla di schiavitù, il pensiero rischia di limitare il proprio raggio di azione alla costruzione delle Piramidi nell’antico Egitto o alle piantagioni di cotone in Alabama, trascurando il fatto che, purtroppo, non si tratta di un fenomeno esclusivamente riferito al passato, ma, al contrario, di una realtà che è, invece, ancora saldamente attuale. Pertanto, la finalità di questa Giornata Internazionale è quella di denunciare la persistenza della piaga schiavista in tutte le svariate forme in cui questa possa manifestarsi.
E stiamo chiamando in causa pratiche come lo sfruttamento del lavoro minorile, il reclutamento forzato di bambini nei conflitti armati, le mutilazioni sessuali, i matrimoni obbligati ed ogni tipo di tratta di esseri umani. In altre parole, per schiavitù intendiamo tutte quelle situazioni dinanzi alle quali un individuo non può opporsi perché condizionato da minacce, violenze o abusi di potere. E a questo proposito, l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) calcola che, al momento, in tutto il mondo, ci siano più di 40 milioni di schiavi. Inoltre, sempre a livello globale, sono, comunque, 150 milioni i bambini impegnati in lavori spesso pericolosi o nocivi per la loro salute, sebbene la Convenzione sui diritti dell’infanzia riconosca esplicitamente “il diritto del bambino di essere protetto dallo sfruttamento economico e dallo svolgere qualsiasi lavoro che possa essere pericoloso, che interferisca con la sua istruzione o che sia dannoso per il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”.
Ma accanto a questi scenari che, per fortuna, riguardano il nostro Paese e l’Europa in maniera del tutto marginale, ci sembra tuttavia il caso di segnalarvi pure il subdolo insinuarsi di una nuova forma di schiavitù psicologica (o, se preferite, di dipendenza) che sta modificando profondamente anche le abitudini di vita nel mondo occidentale. Sentite un po’ questi numeri e fate, quindi, le vostre considerazioni su quanto ci segnala il portale specializzato in analisi statistiche,“Visual Capitalist”, secondo il quale entro la fine del 2024, l’umanità avrà vissuto l’equivalente di 500 milioni di anni sui social network. Non si tratta, forse, di un nuovo meccanismo di asservimento, anche se ad imporlo, questa volta, non sono più dei faraoni o dei negrieri, ma sono dei dispositivi digitali?
Credits Foto: Generatore di immagini AI
2 Dicembre 2024
Scritto da: Giornale Radio
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