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A cura di Ferruccio Bovio
Il punto su cui ci soffermiamo questa settimana, non è legato – come spesso accade – ai grandi temi della politica o dell’economia, ma riguarda, invece, un fatto di cronaca avvenuto pochissimi anni fa nel Levante genovese e che, solo in queste ultime ore, una sentenza di Corte d’Appello sembra aver chiuso in una maniera che, francamente, ci lascia sconcertati.
La vicenda si è sviluppata in un “centro olistico” di Chiavari, dove ad una giovane adepta, Roberta Repetto, con irresponsabile leggerezza, era stato asportato – senza biopsia, nè anestesia e sul tavolo di una cucina – un neo che poi si rivelò essere un letale melanoma. Dopo l’improvvisato intervento degno di uno stregone, il titolare / “santone” del centro ed un medico – si, è da non credere, ma in questo sciagurato episodio è persino coinvolto un laureato in medicina vero! – avevano convinto la sprovveduta ragazza a curare il suo male solamente con tisane zuccherate e lunghe meditazioni. E la cosa è andata avanti fino a che le metastasi del tumore hanno raggiunto altri organi vitali, rendendo disperate le condizioni della Repetto, nel momento in cui, ormai troppo tardi, decise di rivolgersi alle strutture dell’Ospedale San Martino di Genova. Per questo tragico epilogo, sia il “santone”, che il medico che operava in cucina, furono condannati, in prima istanza, a tre anni e quattro mesi di carcere per omicidio colposo.
Adesso però, mercoledì scorso, è arrivata una svolta che ha gettato nello sconforto non solo i familiari e gli amici della vittima, ma anche la gente comune come noi che, ad esempio, negli anni in cui abitammo a Chiavari avemmo anche modo di conoscere personalmente il padre della ragazza che allora era Sindaco della Città. E stiamo parlando della sentenza di appello che ha assolto il fondatore del centro olistico e che ha ridotto la pena ad 1 anno e quattro mesi per il suo collaboratore sanitario, perché, secondo i magistrati – “il fatto non sussiste”.
Più che comprensibile, quindi, la reazione indignata della sorella Rita, la quale sottolinea come Roberta non abbia scelto di morire da sola a 40 anni in balia di di dolori e di metastasi. Inoltre, a stupire è anche il fatto che la pena inflitta ad un medico che opera su un tavolo da cucina sia la stessa che può essere comminata ad un suo collega che agisca, invece, correttamente all’interno di un ospedale.
Naturalmente, restiamo in attesa di leggere le motivazioni della sentenza, ma l’impressione che fin d’ora abbiamo è quella che su di essa possano avere inciso anche eventuali zone d’ombra a proposito di temi delicati come la manipolazione o il plagio. Certo, Roberta Repetto era giovane, ma non una minorenne. Svolgeva l’attività di agente immobiliare e, pertanto, può forse risultare abbastanza agevole, per gli avvocati della difesa, negare la sussistenza delle sue molto probabili fragilità psicologiche e presentarla, di conseguenza, come una persona pienamente consapevole delle sue decisioni. Dinanzi a lei, non siamo, effettivamente, in presenza di un quindicenne che – spinto da un irrefrenabile autolesionismo – si pianta una forchetta od un chiodo nella mano appena distogliamo il nostro sguardo dalla sua persona…Quella in questione è una forma di autolesionismo molto più sottile, che si ammanta quasi di pretese culturali ( come il rifiuto della scienza ufficiale) e che è, pertanto, assai meno riconoscibile… almeno quando inizia a manifestarsi.
Ed è deprimente il senso di impotenza che si prova dinanzi all’ostinazione di chi, illudendosi di andare incontro alla scoperta della “pietra filosofale”, si incammina, invece, su un percorso di autodistruzione, respingendo ad ogni costo (anche a quello della propria vita), qualsiasi alternativa che gli possano positivamente offrire la psicologia, la medicina o magari – per chi ci crede – anche la religione.
Credits: Prima il Levante
25 Febbraio 2024
Scritto da: Giornale Radio
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