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A cura di Ferruccio Bovio
La chiusura di stabilimenti di produzione in Germania – fatta recentemente balenare dalla Volkswagen – suona come una sorta di assordante campanello di allarme circa lo stato di profonda crisi in cui troppi anni di politiche velleitarie e ideologizzate (praticate nell’Unione europea) hanno precipitato vasti settori dell’industria comunitaria. Di questi, quello dell’automotive è certamente uno dei casi più inquietanti.
I Tedeschi hanno accolto questa eventualità con grande stupore, poiché sarebbe, infatti, la prima volta che, in 87 anni della sua storia, la Casa di Wolfsburg procederebbe alla chiusura di una fabbrica in patria.
D’altra parte, i vertici dell’ Azienda – che comprende anche marchi quali Audi, SEAT, Skoda, Bentley, Lamborghini, Porsche e Ducati – hanno testualmente affermato che “la Germania come sede di produzione di auto sta perdendo terreno in termini di competitività e che il clima economico è diventato ancora più difficile, mentre nuovi operatori stanno entrando in Europa”. Ed è proprio quello della “perdita di competitività” dell’industria continentale l’argomento che non possiamo ulteriormente trascurare o sottovalutare, senza rischiare una completa debacle delle nostre economie e dei nostri modelli sociali. Di conseguenza, è pertanto altamente sperabile che, anche a prescindere dalle raccomandazioni di Mario Draghi, qualcuno a Bruxelles incominci a riflettere seriamente sui guai in cui ci siamo cacciati e su come pragmaticamente cercare di porvi rimedio. Ed a questo proposito, giudichiamo positivo il fatto che, proprio in Germania, non pochi esponenti della CDU (il partito di orientamento cristiano – moderato che esprime, tra l’altro, anche la stessa Ursula von der Leyen) abbiano cominciato ad avanzare richieste affinché l’Unione Europea ripensi la scadenza – prevista per il 2035 – relativamente all’eliminazione delle auto con motore endotermico. Effettivamente, la crociata condotta contro le motorizzazioni tradizionali può, senz’altro, essere considerata come un esempio tipico dei guasti causati da quell’estremismo ideologico / ambientalista che ha guidato almeno dieci anni di decisioni europee, incurante delle conseguenze catastrofiche che da esse sarebbero derivate a tutto il comparto della produzione automobilistica. E non è che i costruttori di auto europei siano diventati improvvisamente degli incapaci…piuttosto dobbiamo, invece, denunciare i contesti penalizzanti in cui, loro malgrado, sono costretti ad operare. Davvero possiamo pretendere che rimangano competitivi anche di fronte ad una concorrenza asiatica che – proprio come avviene per i veicoli elettrici – può sistematicamente contare sulla distribuzione di sussidi e aiuti pubblici di ogni genere?
Per molti settori dell’industria europea servono, dunque, misure urgenti e concrete di protezione, se si vuole evitare che questi spariscano in pochi anni, con tutte le conseguenze economiche e sociali che non è difficile immaginare… E, nel sostenere la necessità di introdurre alcune forme di tutela delle nostre produzioni industriali, ci sentiamo autorevolmente confortati anche da quanto, a inizio settimana, abbiamo potuto leggere nel Rapporto sul rilancio dell’economia continentale, la cui stesura, nei mesi scorsi, la Commissione UE aveva affidato proprio all’uomo del “whatever it takes”, destinato, evidentemente, a dover recitare ancora una volta la parte del “salvatore della patria”…
Credits Foto: Agenzia Fotogramma
15 Settembre 2024
Scritto da: Giornale Radio
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