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A cura di Ferruccio Bovio
Entrare in carcere a 26 anni ed uscirne a 59, scontando un ergastolo comminato per un delitto che non si è mai commesso. E quello che è successo a Beniamino Zuccheddu, il pastore sardo che ha dovuto attendere ben 33 anni prima che una Corte d’Appello riconoscesse la sua più completa estraneità ad un triplice omicidio che era avvenuto nel 1991.
Avrebbe tanto desiderato, anche lui, potersi fare una famiglia, plasmare la propria vita ed essere un libero cittadino come chiunque altro… Adesso però, è tardi perché i trent’anni che sono passati gli hanno portato via veramente tutto. Si perchè quell’arco di tempo che, per tutti, normalmente rappresenta l’età della giovinezza, delle speranze e dei progetti futuri, il povero Zuccheddu lo ha trascorso tra le sbarre, tormentandosi a riflettere sul suo ingrato destino e su quelli che, in modo assai moderato, si limita a definire “errori che fanno i giudici”. Già, i giudici…Vorremmo sbagliarci, ma non ci risulta che qualcuno – magari un esponente dell’Associazione Nazionale Magistrati – si sia premurato di esprimere il proprio imbarazzo e la propria vicinanza al malcapitato Zuccheddu, per il danno che gli è stato arrecato dalla superficialità o dalla fretta nel giudicare che sono state usate nei suoi confronti. Certo, a questo punto, l’uomo tornato libero avrà senz’altro diritto ad un congruo risarcimento economico che sarà, comunque, esclusivamente a carico dello Stato: non è, infatti, prevista, nel nostro Paese, alcuna forma di responsabilità civile per gli errori giudiziari commessi dai magistrati. Si dice che sia così per consentire loro di lavorare senza condizionamenti di qualsiasi natura che potrebbero limitarne l’indipendenza. Eppure, non vi sembra che, in genere ed in ogni campo, la consapevolezza di poter essere chiamati a rispondere pecuniariamente delle proprie sviste dovrebbe favorire un più attento e corretto svolgimento di qualsiasi tipo di mansione?
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30 Gennaio 2024
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Scritto da: Giornale Radio
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