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“Aspettando Bruxelles”. L’Irlanda: il voto repubblicano e il confine post Brexit Conduzione di Francesco Massardo
A cura di Francesco Massardo
In un paese dove i benefici dell’Europa, che ha trasformato la verde Irlanda da un paese agricolo alla “tigre celtica”, non sono messi in dubbio da nessuno, le europee di giugno, più che un’occasione per esprimersi sulla politica europea o sulle attività degli eurodeputati, saranno considerate da molti come una prova generale delle elezioni legislative in programma l’anno prossimo.
Il dibattito si concentra su temi prettamente nazionali come gli alloggi e il costo della vita, mentre sul fronte internazionale resta da chiarire la questione annosa del confine con l’Irlanda del Nord, tornato un tema caldo dopo il referendum della Brexit, come ci ricorda Paolo Gheda, professore di storia contemporanea all’università della Valle d’Aosta e specialista del conflitto nordirlandese.
“Certo, in realtà è un confine virtualmente sospeso in questo momento dal Norhern Ireland Protocol, per cui è un confine formale ma dal punto di vista economico non si è ancora determinata una netta separazione per quanto riguarda soprattutto la circolazione delle merci e delle persone. Chiaramente questo influenza anche l’orientamento politico della tradizione irlandese repubblicana (della Repubblica d’Irlanda), ma certamente un aspetto interessante è proprio quello di capire quanto questo orientamento si possa riflettere sulle aspettative che gli elettori irlandesi hanno in generale rispetto al futuro dell’isola, proprio intorno a questo confine che si è venuto a ricreare, però al momento applicato solo in parte e quanto possa riverberare in questa sensibilità, il fatto, come accennavo prima, che nell’altra parte dell’isola, quella sotto il Regno Unito, si siano poste delle premesse per riaprire eventualmente anche il dibattito su una potenziale riunificazione dell’isola o comunque su una generale riunificazione dell’isola o su una ridiscussione dello status politico dell’Irlanda del Nord in quanto tale”.
Quest’anno gli analisti osserveranno con particolare interesse i risultati dello Sinn Féin, partito di opposizione di orientamento genericamente socialdemocratico, nonché ex ramo politico dell’organizzazione paramilitare cattolica e repubblicana Ira. I sondaggi prevedono che lo Sinn Féin supererà i due tradizionali partiti di governo, il Fine Gael (legato al Partito popolare europeo) e il Fianna Fáil (legato a Renew Europe). Un risultato di questo tipo potrebbe proiettarlo alla guida del prossimo governo irlandese, ma soprattutto riaprire un dialogo serrato anche in prospettiva europea con l’Irlanda del Nord, che da qualche mese per la prima volta è guidata proprio dallo Sinn Fein e dalla sua leader Michelle O’Neill.
“Il dato sicuramente più significativo è stato nell’isola d’Irlanda quello relativo agli esiti delle ultime elezioni politiche regionali in Irlanda del Nord, che hanno visto senza dubbio per la prima volta l’affermazione del Sinn Fèin, partito legato alla comunità cattolica e al movimento repubblicano, che di fatto ha nei mesi seguenti condotto alla costituzione di un primo gabinetto di governo con un primo ministro che proviene da quella tradizione, da quella comunità un tempo minoranza. Chiaramente anche questo è un fattore che può influenzare gli orientamenti politici generali nell’isola”.
Ostinatamente vicina alla causa palestinese, favorevole all’arrivo di migranti, l’opinione pubblica irlandese resta inoltre largamente ottimista (83 per cento) a proposito del futuro dell’Unione Europea, molto più di tutti gli altri ventisei paesi comunitari, dove la media è del 61 per cento. Pecora nera o, meglio, verde, di questa strana Europa.