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Proprio nella Giornata Mondiale del Rifugiato, è arrivata la notizia della morte per dissanguamento del lavoratore clandestino indiano, al quale un macchinario per tagliare il fieno aveva amputato un braccio.
Si chiamava Satnam Singh, era occupato – ovviamente in nero – presso un’azienda agricola in provincia di Latina e, come tutti abbiamo appreso con orrore, è stato scaricato in strada, senza soccorsi, subito dopo aver perduto, sciaguratamente, il suo arto. Ad assistere alla scena c’era anche sua moglie, la quale si è subito precipitata ad invocare dei soccorsi che, per altro, non sono mai arrivati. Anzi – e, purtroppo, non stiamo descrivendo la scena di un brutto film dell’orrore – immediatamente dopo il grave incidente, l’uomo è stato caricato su un furgone ed abbandonato davanti a casa, senza ricevere alcun aiuto, ma accompagnato, in compenso, da una cassetta della frutta contenente al suo interno quel braccio perduto per sempre. Solo in un secondo momento il povero Satman è stato trasportato in elicottero al San Camillo di Roma, ma ormai era già troppo tardi. Adesso la vedova dice – e come non darle ragione – che l’Italia è un Paese cattivo. Un Paese in cui, ancora oggi, nel solo Agro Pontino lavorano, abbandonati a se stessi, altri 12mila immigrati indiani per circa 5 euro all’ora.
Di fronte ad episodi del genere nessuno può voltarsi dall’altra parte. Nessuno può far finta di niente, quando un uomo agonizzante viene lasciato al margine di una strada come fosse un sacco della spazzatura. Esistono ancora sul serio imprenditori così senza scrupoli da non provare neanche un minimo di vergogna dinanzi a situazioni che ci riportano addirittura ai tempi spietati dello schiavismo?
Ora, per qualche giorno – come in tante altre vicende analoghe – ascolteremo fiumi di parole (speriamo non inutili) sulla mancanza di sicurezza nei posti di lavoro, sul caporalato, sulla disonestà e sulla disumanità da condannare nella maniera più ferma…ma ben presto saremo presi da altre incombenze e preoccupazioni, dinanzi alle quali la “vita agra” di decine di migliaia di braccianti stranieri che lavorano (in nero) nelle nostre campagne sembrerà ben poca cosa…Eppure, una buona parte dell’agricoltura italiana prospera anche grazie alle attività di queste persone: certo, molto meglio se le svolgono lontano dai nostri occhi e senza, quindi, turbare le nostre sensibilità addolcite da oltre settant’anni di garanzie retributive e previdenziali…Poi, ogni tanto, ci scappa il morto…scriviamo qualche articolo indignato, ma la vita deve pur sempre riprendere…
Pertanto, non trovate che sia un po’ troppo comodo preoccuparci solamente dei lavori che facciamo o che vorremmo fare, dimenticandoci, invece, di quelli che non siamo più disposti ad accettare e che, quindi, abbiamo deciso di delegare ad altri?
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Scritto da: Giornale Radio
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